È Davide Cerullo il protagonista della nuova puntata di Che ci faccio qui, il programma di Domenico Iannacone che racconta le storie di uomini e di donne distintisi per il coraggio dimostrato in situazioni o in luoghi particolarmente ostili. Il titolo di questo appuntamento è – per un motivo – La famiglia, perché, nel caso di Davide, ex camorrista oggi scrittore, essa ha giocato un ruolo fondamentale nel renderlo ciò che era. Non sarebbe bastato il coraggio – se anche ce ne fosse stato – a tirarlo fuori da quel marasma in cui era dentro fino al collo. A salvarlo da se stesso non è stato se stesso; il conflitto d’interessi era troppo grande. Tanto più che lui, di quello che era, non sapeva proprio niente (o non se ne rendeva conto): “Non sapevo cosa fosse il valore della vita”, ammette oggi nell’intervista a Iannacone, “quello che valeva per me in quella vitaccia era cosa pensava il boss di me: se io per lui valevo, se io per lui contavo, se io per lui ero utile, se lui di me si fidava. Se io gli davo fiducia”. Oggi, 40enne, Davide ha deciso di riporre la sua fiducia in Qualcuno di più grande. Non sarebbe bastata tutta la sua forza d’animo, dicevamo, per redimerlo; ma la fede è stata “sufficiente” (un chiaro eufemismo) a salvare lui e tanti altri come lui.
Il ‘miracolo’ che ha coinvolto Davide Cerullo
A volte basta nascere nella famiglia sbagliata, nel posto sbagliato, perché la propria vita risulti già segnata in negativo. Il racconto di Davide Cerullo a Che ci faccio qui, in onda oggi, 5 gennaio, alle 20.20, su Rai3, suona non tanto come una denuncia, quanto piuttosto come un’accusa preventiva. Lui che l’ha vissuto sa bene come vanno le cose, a Scampia e in tutti quei posti in cui la miseria, la violenza e la morte fanno loro da padrone. Le persone, piano piano, imparano a conviverci. Serve quasi un miracolo perché qualcuno ne venga fuori. Cerullo ne è ben conscio, e per questo chiama il suo riscatto “conversione”. L’illuminazione, la folgorazione, quasi come sulla via di Damasco, è arrivata mentre era in carcere. Rientrando in cella dopo l’ora d’aria, Davide si è ritrovato tra le mani una Bibbia: restio ad aprirla, almeno inizialmente (in carcere devi mostrarti spietato, se non vuoi soccombere), ha trovato chissà dove un barlume non di coraggio, ma di fede, e ha cominciato a sfogliarla. Nelle ultime pagine, negli Atti degli Apostoli, ha letto il suo nome ripetuto per ben tre volte: “Davide, Davide, Davide”. E si è subito chiesto: “Che ci faccio qui?”.
Come Davide Cerullo ha cambiato vita
La ‘chiamata’ di Davide Cerullo non è arrivata per caso. È stato come se Dio, attraverso la Parola, si fosse rivolto a lui personalmente, e come fa un padre buono – che attende il ritorno di un figliolo un po’ discolo – l’avesse chiamato, rimproverato, ri-chiamato. Verrebbe da chiedersi: e lui, Davide, il figlio, ha risposto? Non subito, purtroppo. Uscito dal carcere, ha ripreso la solita vita. Ma quella Parola, senza che lui lo sapesse o se ne rendesse conto, aveva già attecchito. La semina ha portato frutti un po’ di tempo dopo, quando Cerullo ha detto “basta” al malaffare e la penna ha preso il posto della pistola. Adesso, in qualità di scrittore e scrittore di denuncia, adopera quell’arma e nessun altra.