DAVIGO A PROCESSO/ “Dalla loggia Ungheria al Csm, la casta continua”

- int. Frank Cimini

Uno dei protagonisti di Mani Pulite, Piercamillo Davigo, è a processo per rivelazione di segreto di ufficio. Intanto la riforma Cartabia rischia in Parlamento

piercamillodavigo 1 lapresse1280 640x300 Piercamillo Davigo (LaPresse)

Si è aperto, nel trentennale di Mani Pulite, il processo a uno dei protagonisti di quella stagione, Piercamillo Davigo. È un fatto che la dice lunga di come siano cambiati i tempi. Davigo è accusato di rivelazione di segreto d’ufficio per aver ricevuto dal collega Paolo Storari (assolto in primo grado) alcuni verbali di interrogatori dell’avvocato Piero Amara, in cui si parla di una presunta loggia Ungheria, di cui avrebbero fatto parte anche componenti della magistratura.

“I verbali, secondo le norme, andavano consegnati alla presidenza del Csm” ci ha detto in questa intervista Frank Ciminigiornalista già al ManifestoMattinoApcom, Tmnews e attualmente autore del blog giustiziami.it, “cosa che però Davigo si è guardato dal fare per propri interessi personali: la lotta interna che stava conducendo contro Sebastiano Ardita, consigliere del Csm”.

Piercamillo Davigo, nel processo che si è aperto contro di lui, sostiene di aver fatto il suo dovere nelle uniche forme in cui andava fatto. Come potrebbe andare a finire il processo?

L’assoluzione di Storari perché il fatto non costituisce reato, cioè la mancanza di dolo, aggrava la posizione di Davigo.

Perché?

Quello che è successo è una specie di induzione di Davigo a Storari a commettere reato, un reato che non c’è, ma in pratica sì. Attenzione: bisogna vedere alla luce del ricorso della procura di Brescia se questa assoluzione regge, comunque il problema resta. Storari quei verbali di Amara avrebbe dovuto consegnarli alla presidenza del Csm, non al singolo consigliere. Davigo non faceva neanche parte del comitato di presidenza. Anche se l’assoluzione di Storari dovesse reggere, Davigo è messo abbastanza male.

In che senso?

Nessuno di loro ha seguito le vie formali. Storari perché era pressato dalla situazione e diceva che la Procura di Milano non lo ascoltava. Davigo lo avrebbe fatto per far passare tutto sotto silenzio. Ma qui stiamo parlando di magistrati, non di persone comuni.

Ricapitoliamo: perché Davigo avrebbe tenuto per sé quei verbali, che poi sono finiti nelle mani dei giornali?

Davigo, lo ha detto anche l’ex procuratore di Milano Francesco Greco, era interessato a far uscire i verbali di questa fantomatica loggia Ungheria, perché avrebbero messo in difficoltà Ardita. Davigo ha agito per suoi interessi personali, nell’ambito di una lotta interna.

Dal punto di vista storico, nel trentennale di Mani Pulite, che aspetto assume questo processo a uno dei protagonisti di quella stagione?

Il trentennale di Mani Pulite è stata una cosa triste. Il presidente emerito della Corte costituzionale, Gaetano Silvestri, lo ha detto chiaramente: è tutta colpa della magistratura che deve recuperare la sua credibilità presso l’opinione pubblica, persa proprio a causa di questi atteggiamenti. Il problema è che i magistrati fanno finta di niente, continuano a considerarsi al di sopra di tutto, anche di questa timida riforma Cartabia, che secondo me non è neanche una riforma. Non vogliono essere giudicati da nessuno, si comportano come una casta.

Hanno anche minacciato sciopero contro la riforma.

Sono divisi al loro interno, ci sono quelli che dicono che lo sciopero potrebbe essere controproducente. Sono in disaccordo sullo strumento da usare, ma non nel contestare la riforma, e questa non è una bella cosa. Ci sono anche dei giuristi che dicono che lo sciopero sarebbe anti-costituzionale, ma neanche questo è il problema. Il vero problema è che su qualunque cosa che possa deviare dallo status quo a loro favorevole i magistrati si arroccano in difesa dei propri interessi.

Anche in Parlamento ci sono divisioni: Italia viva, per esempio, si astiene dal voto.

Italia viva vorrebbe votare contro la riforma, ma per ragioni di quieto vivere della coalizione di governo si astiene.

Ma la riforma passerà in Parlamento?

Sinceramente non lo so. Alla Camera passa sicuramente, ma al Senato ci sono altre variabili da valutare. Ma se dovesse passare, è comunque acqua fresca.

Ma se non passa una riforma che tu definisci tiepida, come potrà mai passare una vera riforma della giustizia?

È vero. Ci sono poi da considerare anche i referendum. Essendo stati esclusi quelli più popolari ed essendo rimasti alcuni quesiti tecnici da votare in un solo giorno, c’è un problema di quorum. Ma anche qualora passassero, non sarebbe nulla di importante. È una brutta situazione, da cui non c’è via di uscita.

Non è emersa una nuova generazione di magistrati dopo le macerie prodotte dal potere delle toghe?

No, io non la vedo. C’è un problema di potere. I nuovi magistrati ereditano queste macerie e anche chi strepita, come quelli di Articolo 101, non può fare nulla. Resistono delle incrostazioni di potere difficili da debellare, è un problema di mentalità.

Dopo la débâcle di Magistratura Democratica a Milano, adesso chi tira le fila?

Le correnti dividono i magistrati su questioni di potere, ma sulle cose di fondo, come appunto la riforma Cartabia, non ci sono differenze profonde. Si dividono sulle poltrone, ma sulla funzione della magistratura no. Cito un esempio: un magistrato che va fuori ruolo prende una doppia indennità, 8mila euro da magistrato e altri 5mila euro quando viene chiamato al ministero dalle forze politiche. Parlano di indipendenza politica della magistratura, ma questi sono privilegi borbonici. Perché mai due stipendi?

(Paolo Vites)

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