Presto gli Stati Uniti avvieranno le trattative con i Paesi interessati dai dazi reciproci, salvo che con la Cina, con cui prosegue un duro confronto a distanza che potrebbe mettere in forte difficoltà entrambe le parti e non solo. Il Fmi, infatti, ha mostrato la settimana scorsa gli effetti che questa situazione sta avendo sull’economia mondiale. Secondo Mario Deaglio, professore emerito di economia internazionale all’Università di Torino, gli Usa avrebbero un’alternativa alla strada dei dazi per ottenere l’obiettivo che stanno perseguendo.
Ci spieghi meglio quale sarebbe l’alternativa ai dazi.
Imporre dazi vuol dire far pagare di più certi prodotti agli americani e ridurre gli acquisti dall’estero. Per gli Stati Uniti sarebbe meglio cercare di svalutare il dollaro per ottenere lo stesso risultato, in modo tra l’altro più semplice e meno traumatico.
In effetti, nelle ultime settimane il dollaro si è svalutato…
E, visto il debito pubblico molto elevato che hanno, per gli Stati Uniti è un deprezzamento favorevole. Che, a mio avviso, poteva essere perseguito in modo più diretto, prevedendo magari solo dazi specifici e limitati per favorire il reshoring di alcune produzioni. Non va dimenticato che esiste il precedente dell’Accordo del Plaza del 1985, con cui i ministri economici e i banchieri centrali di Usa, Germania, Giappone, Regno Unito e Francia si accordarono per una svalutazione controllata del dollaro, che rese competitive le merci americane.
Oggi che vi sono più attori globali di 40 anni fa, un accordo del genere sarebbe ancora possibile?
Se le principali Banche centrali si mettessero d’accordo per mantenere una certa banda di oscillazione del cambio non penso ci sarebbero particolari problemi. Si potrebbe anche agire tramite il Fondo monetario internazionale in modo che funga da coordinamento.
Un dollaro più debole non sarebbe un problema per l’economia europea e le sue esportazioni?
Sì, come del resto i dazi. Come ho detto poc’anzi, il risultato sarebbe analogo, solamente che in questo modo non vi sarebbe un’operazione caratterizzata da una sorta di vendetta degli Stati Uniti nei confronti dei loro alleati, colpevoli di averli sfruttati o trattati male. Diverso è il discorso per quella parte del mondo che non vuole più il dollaro come valuta di riferimento per le transazioni internazionali.
Pensa che la guerra dei dazi tra Usa e Cina sottintenda in realtà la volontà di Washington di bloccare il tentativo di creare una valuta dei Brics alternativa al dollaro?
Può darsi che mi sbagli, ma ho l’impressione che sia così.
Vede possibile un accordo tra Usa e Cina dal momento che la situazione attuale è costosa per entrambe le parti?
In effetti fanno fatica entrambe, ma mi sembra che da un punto di vista puramente economico gli Stati Uniti siano più vulnerabili. La Cina, infatti, ha una forza che le deriva dal quasi monopolio globale delle terre rare: se dovesse limitarne ulteriormente l’export, gli Usa si troverebbero in grande difficoltà. Pechino, inoltre, ha finora mantenuto piuttosto bassa la domanda interna e potrebbe decidere di farla crescere, accettando un po’ di inflazione in più, nel caso di difficoltà sul fronte dell’export.
Sarà possibile arrivare a un accordo tra Usa e Ue sui dazi?
Penso sia più che possibile. Purtroppo, dal momento che non vengono più utilizzate le tavole delle interdipendenze settoriali, non si sa bene quali effetti avranno i dazi, ma sicuramente per l’Ue sarebbe meglio trovare un accordo con gli Stati Uniti. In tal senso potrebbe portare sul tavolo delle trattative la tassazione delle Big Tech americane, proponendo un trattamento non troppo penalizzante.
In attesa delle trattative, l’incertezza sui dazi, come ha spiegato il Fmi, ha già avuto effetti sull’economia. Cosa può fare l’Ue per riattivare la crescita?
Penso che debba sperare nella ripresa delle sue due principali economie manifatturiere, la Germania e l’Italia. Berlino ha chiesto di attivare la clausola di salvaguardia nazionale del Patto di stabilità per le spese nella difesa e dovrebbe dare presto il via libera a un mega-piano di investimenti. Tutto questo dovrebbe aiutare anche alcuni nostri settori e consentire al calabrone Italia di continuare, seppur faticosamente, a volare.
(Lorenzo Torrisi)
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