Trump mercoledì sera ha annunciato dazi del 25% su tutte le importazioni di auto dagli Stati Uniti e ieri i titoli del comparto hanno chiuso in rosso nonostante i cali durino già da mesi. Nel frattempo dai porti europei, e anche italiani, non parte più il vino; le navi arriverebbero dopo il 2 aprile, “il giorno della liberazione” per Trump, e quindi le esportazioni verrebbero colpite da dazi che oggi non sono noti ma che potrebbero metterle fuori mercato.
Le borse sono volatili e l’azione dell’Amministrazione americana, nell’immaginario collettivo, diventa un esempio di incompetenza. In questi stessi giorni i principali media finanziari riscoprono un report pubblicato da Stephen Miran a novembre del 2024. Allora Miran era “senior strategist” per Hudson Bay Capital che gestisce fondi hedge e prodotti di investimento alternativi per circa 20 miliardi di dollari.
Oggi Miran è il capo dei consiglieri economici di Trump e quel report diventa oggetto di analisi e interviste; è inevitabile perché il titolo dello studio, “un manuale di istruzioni per ristrutturare il sistema del commercio globale” (nell’originale: “A User’s Guide to Restructuring the Global Trading System”), e il suo contenuto sono all’ordine del giorno.
Il documento dedica ampio spazio alla volatilità finanziaria causata dai dazi. Tutto quindi si può dire tranne che la volatilità vista ieri e nelle ultime settimane sui mercati sia inattesa o un evento imprevedibile per un’amministrazione di incompetenti.
Nel report si legge, tra l’altro, che “l’incertezza sul se, quando e quanto grandi” siano i dazi “aumenta il potere negoziale nella trattativa nella misura in cui crea paura e dubbi”. Fatta questa premessa, che aiuta a inquadrare la fase attuale, dalla lettura del report si possono ricavare alcune indicazioni sull’implementazione dei dazi.
La prima è che essi saranno graduali e che verranno esplicitati i termini di questa progressione; ciò da un lato limita la volatilità sui mercati e dall’altro aumenta le chance che i Paesi colpiti diventino collaborativi. La seconda è che il livello dei dazi e le decisioni politiche dei partner commerciali sono indivisibili; per usare le parole del report, “la sicurezza nazionale e il commercio sono inseparabili”.
L’idea di fondo è che l’accesso al mercato nordamericano sia un privilegio. Più un Paese si allinea, per esempio in termini di spesa militare, di politica estera o di apertura alle imprese americane, minori saranno i dazi. In questo allineamento uno dei temi principali è la volontà di cooperare con l’America nell’imporre dazi contro la Cina considerata “una minaccia economica e per la sicurezza nazionale molto maggiore della Russia”.
Non c’è quindi nulla di improvvisato o casuale quanto piuttosto un copione che Trump interpreta come attore principale per riequilibrare il deficit commerciale e finanziario americano; sullo sfondo c’è la competizione con la Cina molto più che lo scontro con la Russia. I rischi più grandi del processo che si apre riguardano i mercati finanziari perché controllare l’aggiustamento dei commerci globali e del ruolo della valuta di riserva è complicato. Alla Fed verrà quindi chiesto di collaborare.
I partner commerciali degli Stati Uniti dovrebbero essere consapevoli dei rischi della fase che si è appena aperta e delle sue implicazioni. Gli Stati Uniti, per esempio, hanno ben chiaro che la deregolamentazione e l’attenzione sui costi energetici sono due strumenti imprescindibili per rendere la vita facile a famiglie e imprese in uno scenario complicato che comporta rischi di “volatilità” sull’inflazione, sui tassi di interesse e sui mercati finanziari. Tutta l’energy transition europea, tra le altre cose, poggia su catene di fornitura cinesi.
Non ci sono grandi certezze, ma una è quella che è molto meglio viaggiare “leggeri” evitando di imporre a chiunque costi non necessari. L’altra, forse, è che occorre un’analisi senza sconti della propria posizione negoziale, sugli spazi di flessibilità e su quanto il proprio sistema sia in grado di reggere alla pressione esterna e a che condizioni.
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