I dazi al 125% sulla Cina di mercoledì sera sono saliti ieri al 145% senza che sia successo niente. L’ultimo incremento è arrivato dopo una semplice richiesta di spiegazioni alla Casa Bianca che ha chiarito le modalità con cui sommare i dazi introdotti negli ultimi giorni. Il conto passa quindi al 145% e diventa chiaro che in queste condizioni i prodotti cinesi non possono più arrivare negli Stati Uniti non fosse altro per il fatto che le merci che partono non sanno quale dazio li aspetta il giorno dello sbarco.
I mercati intanto ieri sono scesi dopo i rialzi storici di mercoledì. Ci sono due realtà che si intersecano. Da un lato gli investitori realizzano la crescente probabilità di una recessione. L’ultimo dato sull’inflazione americana, scesa a marzo più delle attese al 2,8% contro il 3,1% del mese precedente, potrebbe spiegarsi con un rallentamento che covava prima ancora che iniziasse la partita dei dazi. Il caos dei dazi e l’incertezza di questi giorni influenzano le decisioni delle imprese che aspettano a investire e ad assumere o che per prepararsi a ogni evenienza tagliano i costi. È la ragione dietro ai cali del prezzo del petrolio di questi giorni.
C’è però una seconda realtà che si sovrappone alla prima. Ieri Trump ha dichiarato che i dazi potrebbero causare costi e problemi transitori. Due giorni fa, secondo Bloomberg, Amazon avrebbe cancellato ordini di prodotti made in China; quasi la metà dei fornitori di Amazon, per inciso, sono cinesi. Con questi livelli di dazi o si verificano rincari da capogiro oppure quei beni scompaiono dagli scaffali fisici o virtuali che siano. Un numero imprecisato di prodotti potrebbe poi essere impattato indirettamente semplicemente perché una o più componenti arrivano dalla Cina.
Forse sono questi i “problemi transitori” a cui si riferiva il Presidente americano ieri. La valuta cinese si è svalutata per un importo minimale rispetto al valore dei dazi e questo significa un impatto pieno delle tariffe sui prezzi all’importazione. Dal punto di vista del consumatore americano la decisione di abbassare i dazi contro il resto del mondo ma di alzarli contro la Cina ha un salgo negativo data la quota di importazioni cinesi rispetto a quelle del resto del mondo.
Mentre sui mercati finanziari è già successo tutto e il contrario di tutto su quelli fisici non è ancora successo niente. I dazi sono vecchi di appena una settimana e negli ultimi mesi sono state fatte scorte eccezionali in previsione di quello che sarebbe potuto accadere. Senza un accordo però l’impatto sui mercati fisici alla fine sarà inevitabile e gli effetti dello scontro tra Cina e Stati Uniti coinvolgeranno le altre aree globali inclusa quella europea.
Le merci che non possono più arrivare negli Usa arriveranno nel resto del globo mettendo pressione sulle imprese locali; è difficile poi immaginare che gli Stati Uniti, in guerra aperta contro la Cina, possano assistere a scambi immutati tra Pechino, e per esempio, l’Europa senza esercitare forme di pressione.
Ieri intanto Trump ha specificato che l’Europa verrà trattata come un blocco unico riguardo ai dazi. È una posizione che aumenta i conflitti dentro l’Unione perché ogni Paese membro ha le proprie esportazioni, le proprie importazioni e i propri obiettivi geopolitici.
L’ultima osservazione riguarda la Fed. In altri scenari le ipotesi di recessione sarebbero state controbilanciate dalla speranza di tagli dei tassi. Oggi invece, con lo spettro della guerra commerciale, la banca centrale è obbligata a tenere duro per evitare di peggiorare possibili fiammate inflattive tra qualche mese.
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