La Cina gioca un ruolo da leader tecnologico, eccellendo nei campi dell’automobile, dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie pulite. E alcune aziende, come DeepSeek ma anche Alibaba, possono fare concorrenza alle big tech americane. Il modello produttivo imposto dal Partito Comunista, d’altra parte, risulta particolarmente interessante per la realizzazione delle infrastrutture tecnologiche, ma lascia a desiderare in merito ad altri aspetti. Cina e USA, spiega Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, hanno ancora bisogno l’uno dell’altro. Per questo la guerra dei dazi potrebbe finire con un accordo tra le parti. Anzi, vista l’importanza di Pechino dal punto di vista geopolitico, alla fine l’intesa potrebbe essere a tre: Trump, Xi e Putin.
DeepSeek ha messo in dubbio la supremazia tecnologica americana sull’IA. Pechino ha colmato il gap con Washington?
DeepSeek ha evidenziato che la Cina è una potenza in grado di sviluppare innovazione tecnologica, ma a condizioni molto differenti dal mondo occidentale e dagli Stati Uniti. Tra l’automotive, l’intelligenza artificiale e le tecnologie pulite, stiamo prendendo coscienza che esiste una via cinese all’innovazione, che ha caratteristiche sue proprie.
Ma è una differenza solo di costi o anche di altro?
C’è molto altro: il mondo occidentale è abituato a ritenere che l’innovazione si possa sviluppare solo in contesti aperti, dove c’è un’imprenditoria diffusa. Il modello cinese è un po’ diverso: vengono identificate a livello centrale poche priorità, rispetto alle quali si convogliano molte risorse e attenzioni da parte del Partito, delle imprese, dei governi locali. Tutti remano in quella direzione, concentrando sforzi ed enormi risorse finanziarie. Un processo che crea anche un’enorme competizione interna: nell’automotive ci sono stati, a un certo punto, 200 produttori di auto.
Su quali elementi fonda la sua forza questo modello?
Prevede un’enorme concentrazione di risorse e di attenzione e la socializzazione del rischio: seguendo le indicazioni del Partito, se qualcuno sbaglia è perché comunque l’ha detto il Partito. A questo punto nasce un processo che, più che sull’efficienza, conta sulla scala, sulle enormi risorse messe a disposizione. Un modello che può funzionare bene per un’innovazione di sistema, di infrastrutture. Non è un caso che sul 5G i cinesi siano più avanti degli occidentali. Bisogna vedere se funziona anche per i singoli prodotti.
Quali sono invece i punti deboli di questo sistema?
Il limite della Cina è l’eccessiva ingerenza del Partito, un limite di incertezza percepita che riduce implicitamente i gradi di libertà dell’imprenditore privato. La Cina, inoltre, ha sempre vissuto su un processo di controllo poroso del mercato: ha sempre fatto passare innovazione dall’esterno, dall’estero, evitando che ve ne fosse in uscita. In realtà, ora ci sono sempre meno interlocutori occidentali disponibili a investire nel Paese.
Il 2025 è l’anno in cui si conclude il piano decennale cinese per rendere il Paese leader nelle tecnologie avanzate. Ha raggiunto gli obiettivi prefissati?
È stato un piano secondo le caratteristiche che abbiamo appena descritto: ha concentrato le risorse su poche priorità, in campi in cui la Cina voleva diventare leader tecnologico. Ora, su automotive, intelligenza artificiale e tecnologie pulite, i cinesi sono messi bene.
In questi comparti i cinesi sono diventati leader?
Sull’AI non è che siano leader: hanno vantaggi in alcuni ambiti e svantaggi in altri. DeepSeek, comunque, potrebbe essere dirompente come innovazione: richiede molta meno potenza di calcolo.
Riguardo ai rapporti USA-Cina, Trump, nonostante i proclami, sembra aver scelto una politica attendista. Siamo in una situazione di stallo per ora?
Credo che sia in atto un processo di avvicinamento, in cui entrambe le parti si stanno posizionando: non sono così sicuro che Cina e USA abbiano interesse a pigiare sull’acceleratore dello scontro. Per certi versi Trump non ha tutta questa convenienza ad andare in questa direzione: Pechino rifornisce molte imprese americane di componenti critici. D’altro canto, anche la Cina ha delle fragilità.
Ma i dazi di Trump potrebbero essere davvero molto più pesanti di quelli attuali?
Non si sa ancora quale sarà il livello dei dazi. Il presidente USA ha messo il 10%, mentre aveva annunciato il 60%. I cinesi hanno risposto imponendo dazi su 14 miliardi di euro di import americano, quindi nulla. Si stanno posizionando: in questo momento tutto è ancora possibile, soprattutto con Trump. Diciamo che i cinesi di certo non auspicano lo scontro, secondo me neanche gli americani.
La grande enfasi con cui sono stati presentati i dazi in realtà nasconde solo una volontà di trattare con gli altri Paesi?
Sì, credo che peraltro Trump si sia scoperto un po’ troppo: con Canada e Messico sono bastate 12 ore per fare marcia indietro. Ha fatto vedere il bluff un po’ troppo presto, facendo capire in fretta che i dazi, più che un obiettivo, sono una leva negoziale.
Trump ha sempre parlato bene, anche recentemente, di Xi Jinping. Segno che alla fine si accorderanno?
Trump è più un autocrate che un democratico, credo che in realtà ci sia un rispetto dovuto all’autorità di soggetti come Xi.
In merito a cosa i cinesi hanno bisogno degli americani e viceversa?
I cinesi hanno bisogno del mercato americano e di una buona immagine in Occidente, questo perché, come economia, sono deboli internamente. Gli americani hanno bisogno di importare componenti critici. Poi Trump ha bisogno di Xi per cercare di gestire alcuni focolai. In Ucraina, comunque, non tratta solo con Putin, c’è di mezzo anche Xi Jinping. Anche in Medio Oriente non tratta lui con l’Iran, c’è la Cina di mezzo. In qualche misura ormai la Cina è ovunque un interlocutore da cui non si può prescindere. Per questo credo che non sia da escludere addirittura, in chiave prospettica, un accordo a tre Trump-Putin-Xi Jinping: non dichiarato, inconfessabile, ma che potrebbe verificarsi.
Ritornando al confronto tra i due Paesi sul piano della tecnologia, oltre a DeepSeek, quali sono le altre società cinesi che possono fare concorrenza alle big tech USA?
Sicuramente Alibaba: ha rilasciato un LLM (la tecnologia Large Language Model, nda) sull’AI piuttosto interessante. In generale, i cinesi, rispetto all’Occidente, sono più avanti per quanto riguarda le automobili, sono messi molto bene per ciò che concerne l’AI e molto più avanti in merito alle tecnologie pulite. Sto sentendo sempre più di imprese italiane che vanno in Cina a comprare tecnologia.
Ci può essere anche un sorpasso cinese?
Parlare di sorpasso mi sembra esagerato. La Cina è certamente una potenza tecnologica con un modello diverso, ma che si può confrontare con gli Stati Uniti. Non dimentichiamo che ha l’enorme vantaggio del mercato interno: un miliardo e mezzo di persone, più di Stati Uniti ed Europa messe insieme. Un aspetto che le permette un vantaggio di scala pazzesco.
È per questo che riesce a produrre a costi inferiori ai nostri?
La Cina ha perso da tempo il vantaggio del costo del lavoro, ma è il Paese dove è più conveniente produrre perché c’è il miglior mix tra qualità delle competenze umane ed efficienza logistica. È di gran lunga il Paese più infrastrutturato al mondo: ha un vantaggio con la sua rete di alta velocità, ferroviaria, autostradale e con i porti.
(Paolo Rossetti)
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