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Home » Esteri » Cina » DAZI USA & POLITICA/ Trump sta consegnando su un piatto d’argento l’Ue a Pechino

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DAZI USA & POLITICA/ Trump sta consegnando su un piatto d’argento l’Ue a Pechino

I dazi di Trump spingono i Paesi UE verso la Cina e danneggiano gli USA. Europa parassita? Non è così: la bilancia commerciale pende verso l’America

Int. Giuliano Noci
Pubblicato 31 Marzo 2025
Il presidente cinese Xi Jinping (Ansa)

Il presidente cinese Xi Jinping (Ansa)

I dazi di Trump costringono a cercare alternative al mercato americano. E, per ora, il primo effetto sull’economia mondiale è che hanno spinto molti Paesi, europei soprattutto, a contattare la Cina per trovare nuovi sbocchi alle loro merci. Così ha fatto la Francia, lodata dal ministro degli Esteri di Pechino, Wang Yi, per l’aumento degli investimenti nel Paese del Dragone.


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I cinesi, spiega Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, non stanno facendo altro che continuare con la loro politica degli accordi bilaterali, la stessa che vorrebbe percorrere Trump, sfruttando le occasioni in più che derivano dall’allontanamento degli investitori dall’America e dal suo mercato. Il problema, però, è che la Cina ora non è più recettiva come prima, tanto che i consumi interni sono diminuiti.


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Reperire un’alternativa a Trump, insomma, non è così facile. Il presidente USA, intanto, continua nella sua politica economica “aggressiva”.

Il ministro degli Esteri, Wang Yi, si è felicitato degli investimenti delle aziende francesi, auspicando un aumento degli scambi con Parigi. È la risposta cinese alla politica di Trump dei dazi e degli accordi bilaterali? Xi Jinping gli risponde con la stessa moneta?

La Cina ha sempre operato così, cercando in modo certosino di costruire relazioni bilaterali con gli Stati europei e sfruttando l’incapacità europea di agire come soggetto unitario. È la logica del divide et impera. L’ha sempre fatto, non sta cambiando la sua politica.


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Spera che l’Europa non capisca la sua forza e lavora con i singoli Stati membri. Una linea di continuità che, per certi versi, oggi risulta ulteriormente rafforzata: ogni Paese europeo, in questo momento, è “spaventato” dal fatto che l’enorme mercato americano potrebbe venire meno, e quindi tutti sono più disposti a guardare alla Cina.

Cosa sta succedendo?

Se l’anno scorso c’era un atteggiamento di relativa sufficienza nei confronti dei cinesi, oggi tutti tessono la loro tela con loro. Non è un caso che Pechino sia oggetto di visite quasi giornaliere da parte di delegazioni europee. Spagna, Olanda, Belgio: stanno tutti andando là. E così la Francia.

La politica di Trump sta favorendo la Cina?

Trump le sta servendo su un piatto d’argento un’ulteriore utilità: per i cinesi diventa ancora più interessante lavorare in questa direzione. Hanno a che fare con Paesi che sono obbligati a volgersi a est, perché, guardando verso l’Atlantico, vedono tanta nebbia.

Ci sono settori particolari dove gli europei possono aumentare i loro affari, l’interscambio con la Cina?

Il tema vero, semmai, è quanto sia in grado di assorbire il mercato cinese, che, a differenza degli ultimi anni, è un po’ chiuso: da una parte lo ha voluto Xi Jinping, mentre dall’altra i cinesi consumano meno, perché hanno qualche difficoltà.

Per gli europei è più difficile conquistare il mercato cinese: “tira” meno e la propensione al consumo si è abbassata, privilegiando il risparmio e i prodotti interni. Non vedo, insomma, opportunità maggiori. L’automobile è un mercato che, sostanzialmente, ormai per noi non è più potabile: sono più bravi loro. E, per quanto riguarda il lusso, la domanda in Cina è calata.

I contatti fra gli americani e i cinesi, intanto, continuano: il rappresentante del commercio USA, Jamieson Greer, ha incontrato il suo corrispettivo He Lifeng. I due Paesi si accusano reciprocamente di politiche commerciali aggressive, ma si parlano ancora. C’è la possibilità che trovino un accordo che faccia rientrare i dazi e rassereni la situazione?

Credo che sia ancora presto per capire se andranno allo scontro totale o meno. Entrare nella testa di Trump, d’altra parte, è pressoché impossibile: non riesco a trovare un filo logico in quello che fa. Anzi, sta facendo di tutto per danneggiare gli Stati Uniti.

Alla fine, la piega che prenderanno le relazioni USA-Cina dipenderà molto da cosa succederà nella guerra in Ucraina e da che ruolo verrà attribuito a Pechino. Il tema, per la Cina, è capire se Trump vuole cooptare Putin per staccarlo dai cinesi stessi. Se così fosse, secondo me, questo innescherebbe una postura molto dura da parte di Xi Jinping.

Conta solo l’Ucraina o devono ricomporsi anche altre situazioni prima che USA e Cina decidano come vogliono impostare i loro rapporti?

Anche il Medio Oriente rappresenta una questione importante. Lì gli Stati Uniti giocano con Israele e la Cina con l’Iran. Entrambi, comunque, sanno che i flussi commerciali sono talmente interconnessi che “prendersi a sberle” significa accettare di essere entrambi penalizzati.

Tornando a Trump, ci sono dei segnali di insofferenza nei suoi confronti da parte dell’economia americana?

Possiamo leggere il comportamento bizzarro dello sceriffo Trump sia da un punto di vista geopolitico che da un punto di vista economico. Il primo risultato netto della sua azione è che sta inconsapevolmente creando una sorta di santa alleanza contro gli Stati Uniti.

Tutti maturano un’antipatia dichiarata nei confronti degli USA, e questo non fa bene agli statunitensi. Perfino il Canada comincia a vedersi più europeo che americano. Sotto il profilo economico, Trump sta creando danni enormi al Paese.

Perché il presidente americano non lo capisce?

L’economia non è quella di cento anni fa, caratterizzata dagli scambi bilaterali: è tutto molto interconnesso, e i prodotti che arrivano negli Stati Uniti magari passano quattro volte per il Paese prima di arrivarci l’ultima. Secondo il suo schema, intercettano quattro volte i dazi.

Inoltre, le sue iniziative generano un effetto inflattivo. Da qualunque parte la si guardi, sta generando danni. Per di più, quando lui dice agli europei che sono dei parassiti, mente spudoratamente, perché la bilancia commerciale complessiva è da due anni a vantaggio degli Stati Uniti.

Perché lo squilibrio è a favore degli USA?

La bilancia commerciale è negativa se si considerano solo i prodotti fisici, ma è positiva per gli Stati Uniti se consideriamo il fatto che inondano l’Europa di servizi digitali. A questo punto, ci si aspetta che anche gli europei comincino a mettere barriere proprio su questi servizi.

In questa situazione, l’Italia cosa può fare?

L’Italia è un player che, in questo momento, non gioca nessuna partita. Ha un ruolo perché è al centro del Mediterraneo, è la porta sud dell’Europa, prospiciente all’Africa. È importante per questo, ma non come Paese autonomo che ha una strategia che è in grado di incidere. In questo momento siamo prigionieri di un’indecisione: non sappiamo se stare con Trump o con l’Europa. E questo, a me, pare indebolisca molto la nostra posizione.

Ma neanche con la Cina sta facendo qualche passo avanti?

Le dichiarazioni e le intenzioni sono buone, ma a fatti stiamo a zero. La visita del Presidente del Consiglio, Meloni, a ottobre è stata positiva, ha definito ambiti chiari d’azione, ma, come sempre capita, noi facciamo i proclami ma non i fatti.

(Paolo Rossetti)

 

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Tags: Donald TrumpXi Jinping

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