L’affaire Almasri è piovuto sul Parlamento come una manna dal cielo per le opposizioni, che hanno avuto non la possibilità (col soccorso della Procura di Roma) di mettere in difficoltà il Governo, ma anche quella di rinviare una discussione che le avrebbe messo in imbarazzo i loro gruppi alla Camera, dove la scorsa settimana era calendarizzato l’esame del testo della proposta di legge popolare presentata dalla Cisl sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, in attuazione dell’articolo 46 Cost.
Nell’esame congiunto compiuto dalle commissioni Finanze e Lavoro, non erano sorti particolari problemi fino a quando Maurizio Landini, col solito fare di un elefante in una cristalleria (o per dirla con Pierluigi Bersani di una mucca nel corridoio) non aveva espresso un parere molto critico tanto da indurre una presa di distanza del Pd dal testo elaborato nelle Commissioni, con una motivazione piuttosto singolare che, nei fatti, contraddiceva le considerazioni di Landini.
Il Segretario della Cgil riteneva che il testo penalizzasse la contrattazione, mentre per il Pd erano stati espunti durante la discussione troppi obblighi di legge tanto da rendere poco incisiva la partecipazione. Secondo il leader di corso Italia, “la proposta di legge limita la partecipazione dei lavoratori alla semplice presenza nei Consigli di amministrazione, indicando una generica partecipazione agli utili e cancellando il rapporto tra salario e reale prestazione lavorativa e (…..) assorbendo il ruolo e l’autonomia contrattuale delle Rsu”.
Inoltre, “distrugge la contrattazione collettiva nei luoghi di lavoro, al ribasso rispetto a quanto già concordato sui diritti di informazione e consultazione nei contratti nazionali ed aziendali”. Secondo Cecilia Guerra, responsabile del lavoro del Pd il testo è uscito “amputato del suo nucleo centrale, e cioè il ruolo della contrattazione”.
Queste critiche finiscono per travisare la funzione che nel pdl originario della Cisl era attribuito all’ingresso di rappresentanti dei lavoratori in organismi societari. Anziché essere un modo di proseguire il conflitto con altri mezzi e in altre sedi, di portare cioè la lotta nei CdA, veniva prefigurato come un’esperienza di “elevazione del lavoratore a collaboratore dell’impresa, con l’intento di dare progressività alla norma fino a una sua piena evoluzione nella partecipazione”, allo scopo di responsabilizzare i lavoratori nel buon andamento dell’azienda (e salire, come scriveva Bruno Trentin, “da sfruttati a produttori”), e, nello stesso tempo, di realizzare “una dimensione del capitalismo in cui il portatore di risorse finanziarie non può prevaricare l’interesse delle persone e della società”.
In sostanza, secondo la Cisl, la partecipazione non era solo un momento di governance a sé, ma si iscriveva in un modello di relazioni industriali che ha già – e da tempo – dei solidi punti di riferimento, anche oltre il modello cooperativo, nell’associare i lavoratori alla definizione delle prospettive dell’impresa (esperienze che venivano richiamate nella relazione al progetto di legge).
In effetti, la maggioranza ha proceduto con molta prudenza, in quanto consapevole della contrarietà della Confindustria. È successo così che tutte le procedure di partecipazione hanno la loro fonte nella contrattazione collettiva, tanto che è agevole concludere che non è in grande passo in avanti scrivere in una legge che le parti – se lo vogliono – hanno la possibilità di negoziare accordi e istituti di partecipazione.
Al convegno del 22 gennaio organizzato da Forza Italia a sostegno della legge (l’unico partito che ha promosso una iniziativa), Luigi Sbarra ha molto insistito sulla funzione a cui è chiamata la contrattazione collettiva in un clima di autonomia delle parti. Ma gli ha replicato in maniera molto netta Maurizio Marchesini della Confindustria sostenendo che le aziende sono contrarie a ipotizzare anche la sola possibilità di negoziare forme di partecipazione, pur consentendo a quelle che intendono farlo di agire in proprio. Questa presa di posizione pubblica non ha certo incoraggiato la maggioranza a procedere.
Fare marcia indietro, però, sarebbe un errore perché il Governo non può essere indifferente nei confronti di un’impostazione partecipativa della rappresentanza dei lavoratori contribuendo alla costruzione di un contesto in cui possa esprimersi un diverso modello di relazioni industriali. Altrimenti deve accontentarsi degli scioperi rituali del duo Landini/Bombardieri. Il punto della questione è stato colto da Anna Maria Furlan, già Segretaria della Cisl e ora Senatrice del Pd: “Il testo originale – ha dichiarato – purtroppo è stato indebolito dai tanti emendamenti anche soppressivi che le forze di governo hanno fatto nei lavori in commissione, ma finalmente viene meno quel muro ideologico contro la partecipazione che per anni ha caratterizzato il nostro sistema industriale e produttivo”.
“Muro ideologico” è la definizione giusta. Già nel Libro Bianco del 2001 veniva individuata l’esigenza di modernizzare le relazioni industriali osservando ciò che sta avvenendo in Europa (Marco Biagi prestava molta attenzione al diritto comparato). “L’esperienza comparata – era scritto – insegna che i sistemi di relazioni industriali più partecipativi riescono a conferire maggiore competitività al sistema produttivo, pure nella grande varietà dei modelli adottati, sia che la legge assuma un ruolo centrale (Germania), sia che la partecipazione si fondi sulla prassi e la consuetudine senza alcuna interferenza di carattere regolatorio (Giappone).
Si ottengono risultati incoraggianti sul piano del miglioramento dell’efficienza organizzativa, riducendo le resistenze alle innovazioni tecnologiche, supportando le decisioni manageriali con una maggiore legittimazione e coinvolgendo i rappresentanti dei lavoratori in una logica di confronto che non esclude certo la possibilità di ricorrere al conflitto ma privilegia la ricerca di soluzioni condivise in quanto hanno più facilità di essere implementate con successo. La partecipazione è dunque un elemento costitutivo di un sistema di relazioni industriali basato sulla qualità, contribuendo positivamente a sostenere e qualificare lo sviluppo di un sistema economico nel suo insieme e delle singole imprese”. Ma non c’è non udente più di chi si rifiuta di ascoltare.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.