Ieri Mario Draghi nel corso dell’audizione al Senato si è chiesto se abbia ancora senso per l’Europa avere un surplus commerciale “gigantesco”. È stata la premessa di una piccola disamina delle ragioni della mancata crescita europea dopo la crisi finanziaria del 2008.
Secondo l’ex Presidente della Bce, questo deficit di crescita ha due cause. La prima è stata una contrazione del credito molto più grave e duratura di quella vissuta dagli Stati Uniti. La seconda nasce dalla decisione di contrarre i bilanci pubblici e comprimere i salari; è una scelta, sempre nell’analisi di Draghi, arrivata in un clima di competizione tra Paesi membri in cui tenere bassi i salari serviva a essere più competitivi. Queste politiche sono state riassunte ieri in due parole, “austerità e salari bassi”.
Questa analisi degli errori europei, nel 2012, nel pieno della crisi dei debiti sovrani, sarebbe forse stata considerata “sovranista”; andava invece di moda sostenere la ristrutturazione dell’economia italiana ed europea sacrificando la domanda interna a favore delle esportazioni. Oggi, finita la globalizzazione e iniziate le guerre commerciali, e non solo, quelle politiche mostrano i loro limiti e l’Europa si scopre dipendente da una domanda estera che non è più scontata.
In questo quadro la ricetta per risollevare l’economia europea non può che passare da un rilancio degli investimenti e della domanda interna, oltre che dal superamento delle barriere nel mercato interno. A prima vista non ci sarebbe nulla da obiettare; gli investitori stanno poi validando questa scelta scommettendo sui mercati europei.
Fino a due mesi fa lo scenario per l’economia europea era deprimente. La guerra in Ucraina e le sanzioni contro il gas russo hanno causato una crisi energetica nelle due principali potenze manifatturiere, Germania e Italia, mentre i dazi di Trump minacciano le esportazioni europee verso il principale mercato di sbocco. La crisi era strutturale. La novità degli investimenti per centinaia di miliardi in difesa rompe questo quadro e inietta dinamismo nell’economia perché, per esempio, alcune fabbriche di auto destinate alla chiusura rinascono come fabbriche per carri armati.
I settori che beneficeranno degli investimenti supportati dal debito comune contribuiranno a stimolare l’economia. Il comportamento dei mercati però non dice nulla sulle prospettive di lungo termine sia dell’economia che per le famiglie europee.
L’economia italiana per molti trimestri ha beneficiato massicciamente del Superbonus; oggi si fanno i conti su quanto debito è costato e cosa ha lasciato. Anche l’economia di Biden, “Bidenomics”, ha beneficiato di una spesa fiscale senza precedenti; sul finale però anche Janet Yellen, segretaria del Tesoro fino al 2024, lanciava allarmi sulla sostenibilità del debito e del deficit pubblico americani.
Per più di due anni i manager dei principali gruppi finanziari americani hanno esplicitato tutta la loro preoccupazione per la salute dei conti pubblici di Washington senza che i mercati azionari soffrissero e con il Pil in espansione. Salvo poi scoprire che la realtà delle famiglie americane, colpite e affondate nel loro potere d’acquisto, si era fatta molto più complicata.
Il rilancio dell’Europa passa da debiti senza precedenti fatti per rilanciare la difesa e dentro i binari di un energy transition ancora ideologica, e comunque impossibile senza generosi sussidi pubblici, mentre il resto del mondo, da Larry Fink in giù, sposa il “pragmatismo energetico”. Fare debiti oggi è molto più costoso che nel 2012 perché il mondo è cambiato, i rendimenti americani sono raddoppiati e le incognite geopolitiche e lo stato precario dei conti pubblici, a tutte le latitudini, rendono gli investitori molto più prudenti e sensibili. In questo nuovo scenario tutto consiglierebbe prudenza su debiti e deficit e una disciplina massima.
Le famiglie europee sono obbligate a farsi domande che non competono agli investitori. Gli investitori possono fare e vincere una scommessa, incassare in un orizzonte temporale di trimestri e poi vendere. Alle famiglie europee invece rimane comunque il conto da pagare in un mondo in cui nessuno è disposto a fare sconti. Gli appelli ai “risparmi degli europei” suonano sinistri. Non potendo gli Stati assorbire il costo di un fallimento della nuova politica economica europea, perché i debiti sono già in zona di pericolo, l’unica garanzia diventa il risparmio delle famiglie.
Passato l’effetto degli stimoli sull’economia, rimane il debito, che è sicuro a prescindere, e la bontà degli investimenti fatti. Il piano europeo è fatto ipotecando il risparmio degli europei e per gli importi in gioco non ci sarà un secondo tentativo. Su questo però non c’è discussione perché “bisogna fare presto”.
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