Delitto di Garlasco, il giudice che assolse Alberto Stasi torna a parlare e ricorda: "Aveva un alibi. Le indagini furono lacunose. Su Andrea Sempio..."
DELITTO DI GARLASCO, PARLA IL GIUDICE CHE ASSOLSE ALBERTO STASI
La mamma di Alberto Stasi lo ha ricordato: nell’iter giudiziario del delitto di Garlasco ci sono due assoluzioni. La prima fu firmata dal giudice Stefano Vitelli al termine del processo di primo grado. A quindici anni dalla sua decisione, il magistrato è tornato a parlare della sua pronuncia: lo ha fatto a La Stampa, ricordando come, in quel processo, chiese approfondimenti che sollevarono ulteriori dubbi e criticità.
In primis, l’alibi informatico: Stasi stava lavorando alla sua tesi al computer. “Non riusciva a provare di avere interagito con il suo computer, a causa degli accessi abusivi dovuti a scorrette procedure effettuate dai carabinieri, che in maniera non tecnicamente appropriata cercavano contenuti nel personal computer, compromettendo così i dati informatici”, ha raccontato Vitelli.
Dunque, vi fu un errore metodologico per il quale fu chiesta l’inutilizzabilità del PC, che era la fonte della prova dell’alibi di Stasi. Il giudice respinse quell’eccezione, dopo essersi confrontato con alcuni ingegneri, perché si poteva tentare di recuperare “la genuinità del contenuto”; infatti, dispose una perizia informatica. Il risultato fu che effettivamente Stasi stava lavorando alla tesi: “Quello che aveva detto corrispondeva al vero”, ha spiegato Vitelli. Gli informatici valutarono anche il lavoro dal punto di vista quantitativo, ed emerse che era stato significativo.
LA TESTIMONIANZA DELLA VICINA DEI POGGI
Il giudice ha ricordato anche la testimonianza della vicina di casa dei Poggi, la signora Bermani, che aveva visto una bicicletta appoggiata al muro della villetta della vittima, ma che non corrispondeva a quella di Stasi. Dal racconto in aula della vicina non emersero, secondo il giudice, elementi per dubitare della sua attendibilità: “Rispose anche a domande un po’ provocatorie, giustamente provocatorie”.
La testimone non fu oggetto di contestazioni: “Ecco, in quei silenzi che c’erano quando io chiedevo se avevano altre domande da fare, lì ho percepito per la prima volta un senso di incompiutezza, quasi come se questa donna ci stesse restituendo il frammento di un’altra realtà, di una verità diversa. E questo è stato un momento molto, molto forte”.
L’ANEDDOTO DEL GIUDICE SULL’ALIBI INFORMATICO
Il giudice Stefano Vitelli in passato dichiarò di essersi reso subito conto che avrebbe affrontato un processo “strano”, forse unico nella sua carriera. “Più approfondivo la vicenda, più qualcosa sfuggiva; aleggiava un’ombra di mistero che ha accompagnato tutto il processo.”
Lo pensa ancora oggi del delitto di Garlasco, tornando su un aneddoto: ad esempio, era convinto che l’ingegnere informatico avrebbe dimostrato che Alberto Stasi non aveva lavorato alla tesi, come invece lui stesso aveva dichiarato. Ma gli approfondimenti confermarono l’alibi. “Mi chiama l’ingegnere una sera e mi dice: ‘Dottore, si segga perché la sorprenderò. In realtà, sono riuscito a pulire il dato e ho scoperto che Stasi stava lavorando alla tesi’.”
LA GIUNGLA DI OPINIONI E LE VECCHIE INDAGINI
In merito alle critiche che suscitano le sentenze – come la sua –, Vitelli osserva che i giovani oggi non si affidano più all’analisi dei giornalisti, ma a ciò che viene condiviso sui social: “È diventata una giungla di opinioni, di soggetti che non hanno, spesso, la professionalità né lo spessore culturale per arrivare a giudizi che sono sommari”.
Per il magistrato, il dibattito sulla giustizia “è intossicato dalla contrapposizione destra-sinistra, da questioni ideologiche e culturali”; invece, il ragionevole dubbio è laico. Nelle sentenze i giudici non devono cercare terze vie, ma rispondere alla domanda della pubblica accusa.
Anche se trovò curiosa la storia dello scontrino legato ad Andrea Sempio, il suo compito era stabilire se Alberto Stasi fosse colpevole oppure no. Infatti, nella sua decisione fece riferimento “agli indizi portati dalla pubblica accusa nei confronti di Stasi e alle ragioni per le quali, secondo me, questi indizi non erano sufficienti a provare la responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio”.
In merito alle indagini, il giudice non ha esitazioni nel definirle lacunose, tanto che a La Stampa parla di “un dato pacifico”, ormai noto a tutti. Vitelli, però, non si sbilancia sulla nuova indagine, ma invita a riflettere sul valore del ragionevole dubbio, citando un insegnamento dei maestri: “È meglio un colpevole fuori che un innocente dentro.”