In molti si chiedono se ha un senso riaprire le indagini sull’omicidio di Garlasco 18 anni dopo l’uccisione di Chiara Poggi. Nuovi prelievi e comparazioni di Dna, approfondimenti sulle impronte digitali, nuove audizioni di testimoni, ma anche rivalutazione delle tracce lasciate dalle scarpe dell’assassino e rivalutazione della rilevanza di telefonate inspiegabili e improbabili biglietti di parcheggio conservati senza una valida ragione sono emergenze processuali che verranno rivalutate dagli inquirenti per capire se Stasi è in prigione ingiustamente e se il vero responsabile dell’omicidio è invece Andrea Sempio, amico della sorella della vittima.
Alcuni commentatori sostengono che l’indagine sia stata riaperta dai Pm di Pavia per ragioni di immagine, per farsi pubblicità e non per autentica convinzione che fosse necessario approfondire nuove emergenze processuali.
Chi conosce l’Ufficio di Procura di Pavia, però, sa che i magistrati che stanno conducendo le indagini sotto la direzione del procuratore capo sono tra i più preparati ed autorevoli della Lombardia, e quindi si può escludere che la loro decisione di riaprire il processo sia motivata da manie di protagonismo. Se le indagini sono state riaperte, è per valutare la fondatezza di nuove prove.
Gli avvocati di parte civile hanno rilevato che questo sarebbe il settimo tentativo di ribaltare la sentenza passata in giudicato e che “dal 2015 ad oggi sono almeno una quarantina i magistrati che si sono occupati del caso e tutti hanno convenuto sulla certezza della responsabilità di Stasi ogni oltre ragionevole dubbio”. Hanno dunque tutti sbagliato nella loro decisione, si chiedono i parenti della vittima?
È intervenuto nella discussione mediatica di questi giorni anche il magistrato che per primo processò Stasi, il giudice per le indagini preliminari di Vigevano, che ha difeso la propria sentenza di proscioglimento, poi ribaltata dalla Corte di Cassazione, ricordando che uno dei motivi per cui aveva assolto Stasi è che mancava un valido movente.
Secondo molti osservatori quello di riaprire dopo anni dai fatti vecchi processi per cercare nuovi responsabili è diventata una moda tutta italiana, una tendenza a non ritenere mai del tutto chiusa un’indagine: la strage di Erba con i ripetuti, vani tentativi di Olindo e Rosa di ottenere la revisione del processo, ma anche la recente assoluzione di Beniamino Zuncheddu, assolto dopo avere scontato da innocente trent’anni di prigione.
Insomma, e in conclusione, è giusto riaprire le indagini anni, lustri o addirittura decenni dopo le prime sentenze che hanno accertato fatti e responsabilità?
La risposta non può che essere positiva. Se esiste anche solo il sospetto che una persona sia stata perseguita ingiustamente, se vengono scoperti nuovi elementi indiziari che possono far sorgere anche il minimo dubbio che il colpevole non sia il soggetto condannato anche, come nel caso dell’omicidio Poggi, dopo che sono intervenute numerose sentenze, è doveroso operare gli accertamenti del caso.
Occorre sempre ed a ogni costo avere la certezza che una persona non sta scontando in carcere una pena da innocente, anche se le nuove indagini possono creare sconcerto tra i parenti delle vittime, costrette a riaprire profonde ferite per il dolore che provoca dover rimettere in discussione quelle che ritenevano essere certezze.
Saranno poi i giudici a dire se le nuove prove risulteranno sufficienti per sostenere che vi è stato un errore giudiziario oppure se sono infondate. E ciò deve accadere anche se, come in questo caso, il presunto reo, sempre proclamatosi innocente, ha ormai quasi del tutto scontata la propria condanna.
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