Alberto Stasi sta per concludere la sua pena: 16 anni per l’omicidio di Chiara Poggi, commesso il 13 agosto 2007 a Garlasco. Ma le indagini su quel fatto non si sono ancora concluse. Anzi, c’è un nuovo indagato, Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, Marco, che nuovo proprio non è, perché il suo nome era già comparso nell’inchiesta, anche se finora è stato scagionato. La Procura di Pavia, alla luce di nuove tecniche per l’analisi del DNA, ha chiesto di sottoporlo al tampone biologico per effettuare un confronto con quanto è stato trovato sotto le unghie della ragazza uccisa.
Il reato ipotizzato, l’omicidio, è contestato in concorso, spiega l’avvocato Luca Procaccini, anche se si tratta di un fatto formale. I PM cercherebbero eventuali riscontri anche per impronte digitali e per quelle lasciate dalle scarpe. Insomma, si indagherebbe anche su altri elementi: il solo DNA, di per sé, d’altra parte, non sarebbe sufficiente per concludere per una colpevolezza che, comunque, allo stato dei fatti, rimane tutta da dimostrare.
Qual è la vera novità che ha portato alla riapertura del caso dell’omicidio di Chiara Poggi?
Oggi, in Germania, c’è un laboratorio accreditato, riconosciuto, che ha la strumentazione per effettuare una prova del DNA su quel poco che c’era sotto le unghie della vittima. Fino a qualche anno fa non c’erano le capacità tecniche per svolgerla. Ricordiamoci che parliamo di un delitto di 18 anni fa. La novità è che il progresso tecnologico ora ci permette di realizzare l’esame del DNA. La difesa di Stasi lo ha chiesto e la Procura lo ha disposto. Si tratta di una prova che esiste da 30 anni, non da sempre; grazie ad essa, molti casi sono stati riaperti.
Non era già stata fatta in precedenza una richiesta?
Era stata fatta. Alberto Stasi subito indicò in questo ragazzo il potenziale omicida: fu iscritto nel registro degli indagati, ma poi ci fu un’archiviazione. Non c’erano gli strumenti, le indagini non portarono all’individuazione di elementi di prova che consentissero l’esercizio dell’azione penale nei confronti dell’uomo. Anzi, di fatto, è stato scagionato. Oggi, a distanza di anni, la capacità tecnica scientifica ha dato lo strumento per valutare questo elemento.
Secondo il Corriere della Sera ci sono altri elementi da valutare. Il DNA non basta?
Bisogna spiegare come mai sotto la pelle di Chiara Poggi si trova un certo DNA. Ma non è una prova che, da sola, basta. Sarebbe un indizio forte, importante, ma non è la pistola fumante del fatto che quest’uomo abbia ucciso la ragazza.
Il fatto che l’indagato si sia opposto al prelievo, al tampone biologico, come può essere interpretato?
Non vuol dire niente, anche se si tratta di un comportamento che fa immaginare che si ponga in maniera poco serena. Anche di questo si tiene conto, ma non è che renda colpevoli. I sondaggi ci dicono che, condivisibile o meno, la fiducia nel sistema giudiziario è passata dall’80% del 1994 a non so quale percentuale minima oggi: magari quest’uomo non ha fiducia o ha avuto paura.
Può essere una reazione scomposta, tipo quella di chi investe una persona, non si ferma e poi torna a prestare soccorso spiegando che si è fatto prendere dal panico. Da noi, d’altra parte, si dovrebbe condannare quando c’è la prova oltre ogni ragionevole dubbio. Certo, quello che l’indagato non ha voluto fare spontaneamente lo farà coattivamente: ha perso tre giorni, ma non è che ha risolto il problema.
Si parla di un reato commesso in concorso. Cosa si intende: in concorso con Stasi o anche con qualcun altro?
È un fatto formale. C’è già una persona condannata, non può che essere in concorso. Può essere anche in concorso con ignoti? Anche questo dà la misura del formalismo dell’atto: bisogna vedere se ci sono delle responsabilità della persona indagata e se, eventualmente, sia da considerare in concorso con Stasi o con altri.
Aggiungo che non è detto neanche che sia stato in concorso. Diciamo che quello che si vede all’orizzonte, se la vicenda procede in questa direzione, è il timore dell’errore giudiziario. Nel caso dell’omicidio di Meredith Kercher, a Perugia, Rudy Guede ha scelto il rito abbreviato e si è preso 16 anni in concorso con Amanda Knox e Raffaele Sollecito. Poi ci hanno detto che questi ultimi non erano lì.
Anche se c’è un procedimento passato in giudicato, bisogna approfondire?
In un regime democratico, comunque, non basta un colpevole, anche il miglior colpevole, per chiudere le porte a ogni ipotesi di approfondimento. Un sistema è forte ed è serio quando non ha paura di ritornare sul pezzo e verificare, anche a costo di dover riconoscere un errore eventuale. Altrimenti torniamo ai vecchi sistemi di giustizia, al giudizio di Dio, all’ordalia: ti butto legato in acqua, fossi stato innocente, Dio ti avrebbe salvato.
Comunque, oltre al DNA ci vogliono altri riscontri?
Se chiedo a una persona di grattarmi la schiena perché fa caldo e ho prurito, sotto le sue unghie rimane il mio DNA, ma questo vuol dire solo che mi ha sfregato la schiena, non altro. In questo caso, se il DNA corrispondesse, non significherebbe, solo per questo, che l’indagato ha ucciso.
(Paolo Rossetti)
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