Caro direttore,
prelievi di Dna, sms comparsi dal nulla, nuovi periti, impronte, addirittura un supertestimone. Sul delitto di Garlasco la nebbia è fitta ma potrebbe addensarsi ancora di più. Il grado di complicazione del caso fa “audience”, induce a formulare le congetture più ardite, in attesa che queste trovino “nuove” prove a sostegno. Per aiutare a capire, occorrerebbe anche chiedersi se e quali errori sono stati commessi.
La direzione delle indagini, secondo la legge, compete sempre al pubblico ministero, che agisce direttamente attraverso le sezioni e i servizi di polizia giudiziaria. C’è l’esigenza di raccogliere il più presto possibile elementi solidi per la soluzione delle indagini prima che vadano persi; come esiste il bisogno di individuare delle priorità di ricerca sotto la pressione delle istituzioni e dell’opinione pubblica. Tutto questo nell’economia di indagini che vanno effettuate, quasi di norma, con risorse scarse.
Detto questo, la bravura dell’investigatore sta nel risolvere la sciarada del delitto trovando gli errori dell’autore. Potrebbe sembrare un’ovvietà, ma sul “campo”, a conti fatti, non lo è, perché la fretta, la pressione esogena, la presunzione, la superficialità e l’approssimazione possono rovinare tutto. Sono i primi nemici dell’investigatore.
Tutti i fattori appena elencati hanno portato, a Garlasco, a una serie di imprecisioni che hanno istillato il dubbio nello sviluppo delle indagini sull’omicidio di Chiara Poggi il 13 agosto 2007. Errori e imprecisioni evidenziati anche dalla Cassazione nel 2016 nelle motivazioni della condanna di Alberto Stasi. Manchevolezze che dopo cinque processi non inficiarono le indagini e non impedirono la condanna “senza ragionevole dubbio”.
Gli stessi dubbi erano stati espressi dalla Pm della Corte d’assise d’appello Laura Barbaini, che comunque aveva chiesto per Stasi una condanna a trent’anni di reclusione. Dall’omicidio sono stati istruiti cinque processi con un iter tortuoso che ha portato alla condanna dell’imputato. Questo è il dato di fatto della verità processuale.
Tutto il resto è noia, come il fatto che a distanza di 18 anni ci sia uno stuolo di investigatori e Pm che pontificano da profani, proprio come durante i mondiali di calcio siamo tutti commissari tecnici. Ognuno dice la sua a prescindere dalle competenze.
Merita comunque, visti i nuovi elementi di indagine apparsi anche sulla stampa, rievocare una serie di elementi che intorbidarono le risultanze dell’indagine e che pur non mettendo in dubbio le responsabilità di Stasi, potrebbero aver precluso la scoperta di ulteriori responsabili.
La prova principe che portò alla condanna di Alberto Stasi fu il sangue di Chiara Poggi sui pedali della bici bordeaux in uso all’imputato. E l’assenza di tracce ematiche sulle scarpe di Alberto. Come ha fatto Stasi ad entrare ed uscire da casa Poggi senza sporcarsi le scarpe? Si è disfatto delle scarpe con le impronte di sangue?
Altro elemento a carico erano le stesse impronte di scarpe sul tappetino del bagno e le impronte di Stasi mescolate al dna di Chiara sul dispenser del sapone. Da ultimo una successiva perizia sulle scale di casa Poggi escluse che l’assassino, percorrendole, avesse potuto evitare di sporcarsi di sangue le scarpe. Le scarpe Lacoste color bronzo indossate da Alberto furono repertate solo il giorno dopo l’omicidio, insieme ad altre cinque paia che Stasi consegnò agli investigatori. Tutte prive di tracce ematiche. Non furono cercate altre scarpe. Pare però che mancassero all’appello un paio di scarpe Geox o Frau che secondo Porta a Porta Stasi avrebbe acquistato nel maggio del 2007 a Spotorno, a poca distanza dalla dimora balneare dei Poggi, con disegno della suola identico alle impronte rinvenute nel sangue di Chiara.
Sono tutti elementi che non confluirono nel fascicolo processuale poiché troppo a ridosso della sentenza di appello e mai sviluppati. A questa fonte di prova, però, se ne aggiungono altre perse o non considerate, che tuttora non è chiaro come influiscono sull’indagine e soprattutto non vanno a discarico delle responsabilità di Alberto Stasi. A partire dalla famosa bicicletta nera non acquisita, che è costata la condanna per falsa testimonianza ad un maresciallo.
Proseguendo con le perquisizioni tardive o non effettuate, vanno annoverati il mancato ritrovamento dell’arma del delitto, le impronte di sangue non rilevate sul corpo di Chiara e le foto perse di Stasi e degli amici. Fino ai graffi non rilevati e non indagati sulle braccia di Stasi nell’immediatezza dei fatti.
A distanza di 18 anni, con tutti fatti che si sono via via succeduti e che starebbero emergendo, è piuttosto facile piegarli verso qualsiasi interpretazione. Il Dna di un frequentatore abituale di casa Poggi, non altrimenti posizionabile sul luogo del delitto, che senso ha nelle indagini? Un messaggio decontestualizzato come l’sms attribuito a Paola Cappa che apporto può dare all’identificazione di un ulteriore colpevole? “Abbiamo incastrato Stasi” significa “abbiamo incastrato un colpevole” o “abbiamo incastrato un innocente”? Un testimone ritratta: ritratta il vero o ritratta il falso?
Secondo Napoleone tutti i piani di battaglia naufragano dopo 10 minuti dall’inizio delle ostilità. Lo stesso, ahinoi, può valere anche per le indagini.
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