Delitto di Garlasco, la criminologa Roberta Bruzzone sull'impronta attribuita ad Andrea Sempio spiega perché non è la prova scientifica che è l'assassino
Roberta Bruzzone ridimensiona il clamore suscitato dalla nuova perizia della Procura di Pavia, che ha attribuito ad Andrea Sempio l’impronta della mano individuata su una parete del muro delle scale dove è stato trovato il cadavere di Chiara Poggi. Per gli inquirenti, si tratta di un ulteriore elemento a carico dell’indagato nella nuova inchiesta sul delitto di Garlasco; ma la criminologa, ospite di Timeline su Sky Tg24, alla luce delle precisazioni fornite dagli inquirenti, chiarisce alcuni aspetti importanti.
In primo luogo, non si tratta di un’impronta intrisa di sangue, dettaglio su cui esiste un riscontro nei test effettuati negli anni passati per verificare la presenza di sangue. Inoltre, il colore rosso visibile nelle immagini diffuse è dovuto all’utilizzo di un reagente impiegato 18 anni fa per migliorare l’analisi dell’impronta.
La sua analisi parte da una riserva: non è logico né fattuale che quell’impronta appartenga all’assassino, come indicato dai carabinieri di Milano in una relazione del 2020, anche per via della posizione in cui è stata trovata. «Sarebbe stato difficile per l’assassino appoggiarsi. Peraltro, l’assassino aveva certamente le mani sporche di sangue, come dimostrano numerose evidenze, ma quell’impronta è priva di sangue. Subito sotto, ce n’è un’altra che fu subito attribuita a Marco Poggi», ricorda Bruzzone. Di conseguenza, «la collocazione temporale univoca al 13 agosto di quell’impronta è, al momento, tecnicamente e scientificamente impossibile». Secondo la criminologa, la lettura data dalla Procura è «interessante, ma tutt’altro che suffragata da elementi oggettivi, insuperabili e univoci».
“IMPRONTA DI ANDREA SEMPIO? SUGGESTIONE INDIZIARIA”
In altre parole, se Andrea Sempio frequentava la villetta del delitto di Garlasco, in particolare la cantinetta, è comprensibile che vi abbia lasciato delle tracce. «Ad oggi, è un elemento di suggestione indiziaria, non è la prova scientifica della presenza di Sempio al momento dell’omicidio», afferma Bruzzone. La criminologa fa anche notare che, in quel punto, c’era un ingombro non indifferente: il cadavere di Chiara Poggi. «Non ha orme sulla schiena, quindi dove avrebbe camminato per arrivare fin lì? Le scale erano cosparse di sangue, perché il corpo era scivolato progressivamente: se qualcuno fosse passato, avrebbe lasciato un macello di tracce».
Bruzzone sottolinea che il corpo della vittima è scivolato sulle scale, quindi non avrebbe avuto senso per l’assassino spingersi fin lì. Tornando all’impronta, osserva che i punti di contatto rilevati nella perizia sono 15, mentre lo standard italiano ne richiede almeno 16-17 per l’identificazione. Quanto al fatto che sia stato sentito anche Marco Poggi, fratello della vittima, proprio in concomitanza con la diffusione di questa informazione, secondo Bruzzone si è trattato di «una scelta investigativa per cercare di capire se poteva collocare Sempio in un momento alternativo all’omicidio», ovvero per stabilire se quell’impronta potesse essere stata lasciata in un’altra circostanza.
I PUNTI DI CONTATTO DELL’IMPRONTA 33
Lo standard italiano prevede almeno 16-17 punti di contatto per poter identificare un’impronta. «In alcuni casi, ne sono bastati 12-14, perché vi era una particolare disponibilità caratterizzante nella porzione papillare esaminata — ma si tratta di casi eccezionali», spiega Bruzzone. All’epoca, la comparazione fu ritenuta impraticabile per assenza di punti caratteristici. «Mi risulta, anche dal comunicato della Procura, che la nuova comparazione sia avvenuta sulla fotografia di quella precedente, quindi è indiretta. Pertanto, vi sono margini di incertezza». La criminologa precisa che, pur ritenendo il dato interessante e ritenendo altamente probabile che quell’impronta appartenga ad Andrea Sempio, è la collocazione temporale univoca al momento del delitto di Garlasco a suscitare in lei delle perplessità.
LA CONDANNA DI ALBERTO STASI
Bruzzone è intervenuta anche sulla condanna di Alberto Stasi e sulla prova delle orme. «Non è che i giudici si siano inventati la sentenza di condanna. La perizia dell’appello-bis, che analizzò la camminata di Stasi, escluse in modo scientifico — con una quantità industriale di calcoli — che potesse non essersi imbrattato con le scarpe indossate al momento del ritrovamento, e stabilì che non poteva evitare di sporcare i tappetini dell’auto, che invece risultarono puliti». Per quanto riguarda la sostituzione dei pedali della bicicletta, questa emerse «in maniera plateale» nel processo-bis: «Il manager dell’azienda dimostrò che quei pedali non erano quelli montati in origine», ricorda Bruzzone.
L’ORA DEL DECESSO DI CHIARA POGGI
Infine, la criminologa afferma che non è possibile spostare l’ora del decesso. «C’è un problema: l’epoca della morte fu stabilita su parametri investigativi». Due sono i riferimenti temporali: «Alle 9:12 fu disinstallato il sistema di allarme — e non vi è prova che non lo abbia fatto Chiara stessa — e alle 9:35 non rispose alla chiamata di Alberto Stasi». Di conseguenza, «l’epoca della morte è circoscrivibile in quel contesto. Questo è il dato temporale più affidabile», conclude Bruzzone.