Nella sterminata raccolta di impertinenze attribuite a Winston Churchill ve n’è una sempre meno reperibile in rete perché oggi politicamente scorrettissima. Durante un dibattito ai Comuni sulla parità di diritti fra uomo e donna, un parlamentare laburista sottolineava la pressoché totale assimilazione biologica fra i due sessi “salvo qualche piccola differenza”. “Winnie”, allora dai banchi liberali, interruppe l’oratore con un sonoro “hurrà for the little difference!“.
In democrazia le differenze contano: anche quando sono little. Churchill, per esempio, aveva capito subito che scendere a patti con Hitler a Monaco nel 1938 era stato un grosso errore da parte del suo predecessore Neville Chamberlain. La forza della Gran Bretagna – liberaldemocrazia parlamentare dall’inizio del ‘700 – permise di avvicendare Chamberlain con Churchill appena in tempo: quando la Germania nazista – che due anni prima aveva promesso la pace in Europa – aveva scatenato la guerra e puntava a invadere le isole britanniche.
Il Premier italiano in carica, Giuseppe Conte, si è solennemente auto-paragonato a Churchill nella prima di innumerevoli apparizioni da “uomo solo al comando” susseguitesi durante l’emergenza Covid. Evidentemente ancora in queste vesti, alla Festa del Fatto Quotidiano e poi al Forum Ambrosetti di Cernobbio Conte ha esternato in lungo e in largo sul futuro del Paese. Ha espresso il suo placet alla prospettiva che Sergio Mattarella venga riconfermato al Quirinale nel 2022. Ha poi fatto notizia rivelando – con nonchalance – di aver proposto lui, un anno fa, Mario Draghi per la presidenza della Commissione Ue; ricevendo tuttavia dall’interessato un diniego “per stanchezza”.
Al di là degli aspetti di merito politico, è apparso grottesco che Conte abbia interloquito su un voto – al momento previsto fra sedici mesi – riservato ai due rami del Parlamento integrati dai rappresentanti delle Regioni: cioè a deputati, senatori e consiglieri regionali democraticamente eletti. Il premier invece non lo è, non lo è mai stato: neppure per un consiglio di circoscrizione. Non ha mai avuto un incarico pubblico – elettivo o no – prima di approdare a Palazzo Chigi, per guidare poi due esecutivi successivi a maggioranza contrapposta.
Mattarella, dal canto suo, è stato eletto sette volte consecutive in Parlamento ed è stato quattro volte ministro (una volta vicepremier) prima di essere designato da Camera e Senato giudice costituzionale e infine Presidente della Repubblica.
Draghi è stato inizialmente Direttore generale del Tesoro servendo sotto nove governi. È stato nominato governatore della Banca d’Italia, a fine 2005, su proposta del premier Silvio Berlusconi e controfirma del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Nel 2011 è stato infine designato presidente della Banca centrale europea con voto unanime del Consiglio dei 27 capi di Stato e di governo della Ue.
In democrazia le differenze contano. E non è mai piccola quella fra ciò che è democrazia e ciò che non lo è. Quella volta infatti fu Churchill – quello vero – a vincere e Hitler a perdere.