Brutte notizie da Londra. Pessime. Jim Rogers, co-fondatore con George Soros del Quantum Fund (il fondo che nel 1992 affossò sterlina e lira con mosse speculative e portò le due valute all’espulsione dallo Sme), è tornato a tuonare, pubblicamente: «Vendete ogni sterlina che avete, la sterlina è finita. Mi dispiace dirlo ma oggi come oggi non investirei un centesimo nel Regno Unito». Visto il precedente, gela il sangue nelle vene.
In effetti, la sterlina sta crollando. Ieri per la prima volta ha toccato quota 1,37 sul dollaro, una soglia psicologica che sta a cavallo tra due date simbolo delle fluttuazioni del pound: il 1992, appunto e il 2001.
Il problema è che il continuo indebolimento del quadro economico, la crisi bancaria lungi dall’essere terminata, il rapporto deficit/Pil che toccherà l’8,8% a causa dei continui interventi del governo, la disoccupazione galoppante e il tasso di ripossessioni delle case che vede una famiglia cacciata dall’abitazione in cui abita ogni sette minuti sono tutte concause di una possibile spirale al ribasso: parole come quelle di Jim Rogers non arrivano a caso, hanno un timing preciso e se davvero si comincerà a livello globale a scaricare la sterlina l’ipotesi prima è una scivolata a breve a 1,35-1,32 sul dollaro e poi un potenziale default sul debito per l’incapacità di onorare le esposizioni estere.
Le responsabilità del governo sono enormi, inutile negarlo. Certo non è colpa di Gordon Brown se siamo terminati nella peggiore crisi dal 1929, ma i disastri bancari sono in larga parte ascrivibili alla sue azione di governo. Lunedì Royal Bank of Scotland ha annunciato perdite per 28 miliardi di sterline e questo istituto è controllato al 60% dallo Stato: perché invece di porre in evidenza le solite clausole populiste dello stop ai dividendi e del tetto allo stipendio dei manager Brown e il suo ministro delle Finanze, Alistair Darling, non hanno fatto condurre una seria due diligence sui conti e sui bilanci?
Essere stati colti di sorpresa da questa perdita record parla la lingua dell’inconsapevolezza: inaccettabile per un capo di governo e per il titolare del Treasury che stanno facendo esplodere il debito pubblico utilizzando soldi dei contribuenti per salvare queste banche.
Stesso discorso vale per Lloyd Banking Group che, dopo l’incorporazione della martoriata Hbos avvenuta la scorsa settimana, sta letteralmente crollando in Borsa. Hbos, lo scorso anno, fu bersaglio di un attacco massiccio di ribassisti che operavano in posizione short sul titolo scommettendo sugli asset tossici che l’istituto aveva in pancia e quindi sul suo default. All’epoca le anime belle degli anti-mercatisti da talk show dissero che erano quei pescecani a distruggere Hbos, istituto che invece era sano e solvibile.
La verità si è vista da lunedì scorso in poi: i ribassisti scommettevano sul giusto (e infatti hanno introitato milioni di sterline all’atto di chiudere la posizione e pagare le azioni prese in prestito) e Lloyd ora sconta gli asset tossici che si è ritrovata nei bilanci dopo aver assorbito l’ex rivale malconcio.
Inoltre, giova ricordare che da lunedì scorso a Londra è decaduto il divieto di operare al ribasso: bene, analizzando i volumi di scambio la stessa Fsa, autorità di controllo della Borsa di Londra, ha dovuto ammettere che i contratti short su Lloyd erano pochissimi, mentre il crollo del titolo era da attribuirsi a vendite reali di azioni da parte di investitori terrorizzati. Altro che speculazione.
Stesso destino per il gigante Barclays, ormai costretto ad ammettere la necessità di aumento di capitale e pronto a chiedere l’intervento del governo: peccato che quando lo scorso ottobre cedette al fondo sovrano di Abu Dhabi, quello dello sceicco del caso Kaka per capirci, il 16,5% delle azioni per 5,3 miliardi di sterline, il board della banca accettò condizioni capestro come le cosiddette “mandatory convertible notes”, un complicato meccanismo di gestione del pacchetto azionario in base al quale oggi Barclays rischia di vedere salire il fondo di Abu Dhabi al 55%, perdendo di fatto la sovranità, se si vedrà costretta ad aumentare di nuovo il capitale.
Gli sceicchi, probabilmente, hanno scommesso proprio su questo quando hanno deciso di investire, hanno controllato bene i conti e hanno inserito la clausola sulla fluttuazione del valore del titolo che garantirebbe loro una montagna di azioni al prezzo minimo concordato: non stupirebbe scoprire che nel frattempo qualche loro trader abbia lavorato debitamente e in maniera massiccia sui credit dafault swaps di Barclays per guadagnare anche nel medio termine, hedging puro.
Questa è l’Inghilterra di oggi, questa è la situazione. A breve sapremo se il consiglio di Jim Rogers verrà applicato dagli operatori mondiali: in quel caso il default sarebbe dietro l’angolo e l’adozione dell’euro, giocoforza, anche.