Il numero di lavoratori che la scorsa settimana ha fatto richiesta di sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti è aumentato inaspettatamente. Il dipartimento del Lavoro americano ha comunicato che le richieste iniziali di sussidi di disoccupazione sono cresciute di 7.000 unità, a 480.000 unità, nella settimana conclusasi il 12 dicembre, mentre gli analisti avevano previsto un calo di 9.000 unità.
Anche il numero di richieste che durano più di una settimana è aumentato, attestandosi a 5.186.000 con una crescita di 5.000 unità. Unico segnale positivo il fatto che la media delle quattro settimane, che riduce la volatilità del dato, è scesa a 467.500 unità, il 15esimo calo consecutivo: la media è ora al suo livello minimo dal settembre 2008.
Una notizia, questa, che ha immediatamente bloccato il corso di rafforzamento del dollaro iniziato martedì grazie alla decisione del Fed di accorciare i tempi rispetto alle politiche monetarie di emergenza – nei fatti, un segnale di aumento dei tassi nel breve termine – e alle cattive notizie che giungevano dall’Europa e facevano precipitare l’euro rispetto al biglietto verde.
Quali fossero queste brutte nuove dal vecchio Continente è noto: la crisi del debito greco che ieri ha visto il premier del paese invocare misure drastiche «a ogni costo» e l’annuncio della nazionalizzazione dell’istituto Hypo-Alpe Adra Bank International da parte del governo austriaco, la seconda operazione di salvataggio statale operata nel paese alpino.
Spiace dirlo ma ilsussidiario.net aveva parlato di questo rischio il 23 marzo scorso, utilizzando queste parole: «Johann Sebastian Bach, come tutti i grandi geni, non ha potuto godere della rivalutazione del suo talento: per decenni, infatti, le sue “Variazioni Goldberg” furono viste come un mero esercizio tecnico.
Solo nel XX secolo fu resa giustizia allo straordinario contenuto emotivo dell’opera… Di certo c’è, invece, l’aggiornamento dei cds sul default del debito dei paesi europei: a parte l’Islanda ormai fallita, che presenta qualcosa come 1037 punti base per assicurarsi contro il default del debito a cinque anni, la classifica dei “vivi” (per quanto, ancora, non si sa) vede al primo posto l’Irlanda con 347,4 punti base, seguita dalla Grecia con 259,5 punti base, dall’Austria con 255,4 punti base, dall’Italia con 196 punti base, dalla Gran Bretagna con 155 e dalla Spagna con 146 punti base. Non stupisce visto che le banche di Vienna hanno prestato all’insolvente Est europeo il 70% del Pil austriaco e ora rischiano di non vederselo rimborsato.
Se va in default l’Austria, arrivederci all’Est e alla stessa tenuta dell’area euro: non servirà più sottoporre a referendum in Irlanda il Trattato di Lisbona, l’Europa sarebbe morta e sepolta. E casualmente si è parlato, dopo la “variazione Bernhardt”, di Irlanda e Grecia guardandosi bene dal citare il caso austriaco, molto sentito dai vicini tedeschi autori del siparietto. I quali, dal canto loro, devono fare i conti con una previsione di contrazione dell’economia del 4-5% e un crollo dell’export dell’11%».
CONTINUA A LEGGERE L’ARTICOLO, CLICCA IL SIMBOLO >> QUI SOTTO
I rischi per l’Europa, conviene dirlo chiaramente, sono oggi più gravi di allora. Non esiste un piano di contrasto per il default greco così come per quello irlandese, la Germania stenta nel far decollare il piano per la famosa bad bank che dovrebbe scaricare dagli assets delle proprie banche i miliardi di titoli tossici presenti, l’Austria deve sperare che la nazionalizzazione di Hypo Alpe Adra Bank International sia l’ultima a cui dover far fronte poiché la danza dei cds sul rischio di default sul debito è già partita e il Fondo Monetario Internazionale difficilmente potrà intervenire ancora sui mercati dell’Est pompando soldi virtuali e non al fine di evitare collassi a catena in Ucraina, Lettonia, Estonia e Lituania.
La politica, insomma, traccheggia. Non lo fanno gli analisti, quelli che sul mercato ci operano e quasi sempre vedono in anticipo quanto accade poiché solo muovendosi in questo modo si può investire: per Steve Barrow, della Standard Bank di Londra, «Irlanda e Grecia rischiano seriamente l’uscita dall’euro, nonostante i loro due governi continuino a negare questa possibilità. Le loro difficoltà attuali sono intollerabili per i mercati».
I problemi reali sono due, ora: primo, i mercati potrebbero a breve stancarsi di prestare soldi ai governi, visto lo stato di salute di molte economie europee. Secondo, le scelte delle agenzie di rating. Le quali, come si sa, possono fare il bello e cattivo tempo, scegliendo i timing migliori per il downgrading e innescando corse all’investimento speculativo sui cds.
È, ad esempio, il caso della Spagna che la scorsa settimana ha visto trasformare il proprio outlook in “negative” da parte di Standard&Poor’s a causa «di un pronunciato e persistente deterioramento delle finanze pubbliche che richiederebbe forti azioni politiche per ora non poste in essere». Con un tasso di disoccupazione al 20%, José Luis Zapatero ha poco da sorridere.
Difficilmente soffriranno un downgrading Gran Bretagna e Usa – anche se lo meriterebbero – mentre la catene delle bocciature potrebbe colpire la già citata Austria e l’Italia del nuovo debito pubblico record, un qualcosa di insostenibile nell’area euro. Se a questo uniamo il caos bancario che sta per scoppiare in tutto il vecchio continente, capite il motivo del pessimismo rispetto alla già non rosea previsione del marzo scorso: ieri in Borsa tutti i titoli del comparto crollavano, a Milano come a Londra come a Francoforte e Parigi.
Le prossime trimestrali, forse, cominceranno a dare un primo segnale di verità rispetto alla vera esposizione dei vari istituti alla bomba dei titoli tossici, visto che senza stress tests in molti hanno ceduto alla tentazione di porre off balance molte liabilities in modo da presentarsi lindi e profittevoli al mercato: questo spiega i guadagni dei titoli nei mesi scorsi e il rally artificiale delle Borse, gonfiate da denaro pubblico e ora in fase di contrazione per l’esangue illiquidità di alcuni book.
Resta da capire come i governi potranno intervenire in caso di salvataggi d’emergenza, visto che i debiti pubblici stanno per esplodere e denaro per nazionalizzazioni non ci sarà: partirà, allora, il cannibalismo, ovvero una sorta di privatizzazione di massa degli assets più fruttevoli di molti Stati in difficoltà, la logica dei vulture funds abbandonerà le razzie sui debiti dei paesi africani comprati alle banche o poi incassati a prezzo raddoppiato e si lancerà sulle parti nobili di paesi che fanno parte del G20, di alcune delle cinque, sei prime democrazie al mondo.
CONTINUA A LEGGERE L’ARTICOLO, CLICCA IL SIMBOLO >> QUI SOTTO
Sarà, nei fatti, il trionfo del capitalismo globale sul principio di sovranità nazionale, con le agenzie di rating nel ruolo di direttore d’orchestra per fornire il timing giusto alle operazioni di scalata: il grande supermarket globale sta per aprirsi, la crisi alla fine verrà ricordata per il modo in cui cambierà i profili delle democrazie esistenti e dell’ordine occidentale più che per gli scatoloni dei dipendenti di Lehman Brothers.
Diciassette anni dopo torna la stessa logica ma su scala globale. Prepariamoci a un 2010 denso di sorprese e cambiamenti: occhio ai cds, ci saranno sorprese già dal mese di gennaio. Qualcuno fluttuerà ma riuscirà a salvare la pelle, qualcuno invece cadrà. In tanti, invece, stanno già guadagnandoci sopra. Pesantemente. È il mercato, bellezza.