Ahi ahi ahi, c’è aria di caduta degli dei, lo showdown può cominciare. Il Financial Times, infatti, ha sancito che non ci sono più intoccabili, sparando in prima pagina la notizia in base alla quale la Deutsche Bank è stata accusata di non aver voluto riconoscere 12 miliardi di dollari di perdite durante la crisi finanziaria su una posizione ingente legata i derivati, evitando in questo modo di chiedere il salvataggio al governo tedesco. Questo in base alla denuncia di fronte alle autorità americane di tre ex dipendenti dell’istituto tedesco.
Per il quotidiano della City, Deutsche Bank avrebbe mal valutato una posizione ingente sui derivati (si parla di “leveraged super senior trades”) e i tre ex dipendenti affermano che se la posizione fosse stata valutata correttamente, ovvero circa 130 miliardi di dollari, i livelli di capitale di Deutsche Bank sarebbero scesi a livelli pericolosi durante la crisi e avrebbero costretto l’istituto di credito tedesco a chiedere il salvataggio del governo. Invece, sostengono i tre accusatori, i trader della banca (e i superiori lo sapevano) non hanno registrato le perdite mark-to-market durante la forte crisi delle Borse fra il 2007 e il 2009. La questione, poi, ha toccato anche il guru americano Warren Buffett, poiché i tre ex dipendenti sostengono che la banca non calcolò correttamente il valore dell’assicurazione fatta proprio dalla Berkshire Hathaway su alcune posizioni.
E cosa ha risposto Deutsche Bank a queste accuse? Ha querelato il Financial Times? No, ha replicato in un comunicato che le accuse sono vecchie di due anni e mezzo e che sono state registrate pubblicamente nel giugno del 2011. Me-ra-vi-glio-si! Di più, per questo motivo le accuse sono state oggetto di un’attenta investigazione (immaginiamo interna) e alla fine si sono rivelate del tutto infondate. Ma guarda il caso! Deutsche Bank, poi, ha promesso che continuerà a cooperare con la Sec in questo senso per far chiarezza. Bontà loro, mi piacerebbe davvero vedere a quali valori sono state iscritte quelle posizioni a bilancio, sarebbe il più bel regalo di Natale.
Panzane teutoniche a parte, il Financial Times scriveva che le accuse sono state fatte in momenti differenti tra il 2010 e il 2011 e sono indipendenti l’una dall’altra. Inoltre, le persone coinvolte hanno trascorso ore con i funzionari della Sec e due degli ex dipendenti di Deutsche Bank hanno detto di essere stati espulsi dalla banca dopo ave riportato i loro timori all’interno dell’istituto. Ora, non è l’accusa in sé a preoccupare, ma il timing con cui il Financial Times l’ha lanciata, visto che il quotidiano della City non pubblica notizie, manda messaggi. Insomma, la guerra all’Europa e all’euro può avere inizio.
Non a caso, in contemporanea con il Financial Times, un altro quotidiano ha lanciato un siluro contro l’eurozona. Si tratta del New York Times, il quale in un articolo ha pressoché distrutto il buyback greco – mi direte, l’hai fatto anche tu che sei europeo – e di fatto annunciato un holdout di massa, ovvero il fatto che molti detentori privati non accetteranno le condizioni del riacquisto, attendendo la scadenza dei loro contratti, cercando di spuntare un prezzo più alto o puntando sul default greco, visto che le notes che hanno in mano sono denominate con legislazione britannica. In parole povere, il New York Times sta operando da agente raggruppatore dei fondi che diranno no al buyback, si offre come house organ e ha la sfrontatezza di dirlo chiaro e tondo.
Il problema è che se almeno un terzo dei detentori dirà di no e si arroccherà in holdout, quei bonds crolleranno e a quel punto si potrà dire davvero che gli hedge funds hanno buttato fuori la Grecia dall’eurozona. E ancora, tanto per capire che aria tira, Goldman Sachs ha appena schioccato il bacio della morte alla Spagna, inserendo una posizione long sul suo debito iberico al quarto posto della lista dei Top Trades del 2013. Per l’esattezza, si consiglia di stare lunghi sul Bonos a 5 anni al rendimento attuale del 4,30%, con un target 3,50% e uno stop loss a 5,50%. Direte voi, bene, vuol dire che la Spagna ce la fa. No, vuol dire che Goldman ha troppa di quella cartaccia in pancia ed è desiderosa di spacciarla ai propri clienti come affare dell’anno per disfarsene, in vista del salvataggio spagnolo nel primo trimestre del prossimo anno.
Attenzione, poi, all’Italia. È bastato che Berlusconi annunciasse di fatto il suo ritorno in campo e il Pdl si astenesse al Senato, palesando l’assenza di una maggioranza per il governo Monti, perché il nostro spread abbandonasse la telegenica quota 300 per prendersi 30 punti base in un battibaleno, segnale che i mercati non accettano esercizi democratici che possano togliere il loro uomo da Palazzo Chigi prima che abbia terminato il lavoro, ovvero svendere i gioielli di famiglia stile Finmeccanica. Di più, in tutte le banche d’investimento c’è una certezza: se torna Berlusconi, le posizioni sui Btp sono morte. Ovvero, si torna a quota 500 in un attimo.
È tempo che ve lo dico, ora siamo al redde rationem. Quindi che fare? Io so solo che questo Paese è destinato alla bancarotta, ma non per lo spread, bensì per le politiche di questo governo e per la totale assenza di politica industriale (non a caso l’attacco più duro contro Berlusconi è giunto da Corrado Passera). Quindi, per quanto mi riguarda, me ne frego (non date una connotazione ideologica a questa espressione, please) dell’euro che scende a 1,3064 appena giunge la notizia da Palazzo Madama, me ne frego delle banche d’affari e dei loro report, me ne frego di Goldman Sachs: mi mandate lo spread a 500? Perfetto, interviene la Bce, altrimenti la prima vittima del default italiano sono le banche francesi e tutti quei fenomeni che hanno utilizzato titoli di Stato del nostro Paese come collaterale sul posizioni derivate.
Se facciamo default, magari ristrutturiamo il debito, chi ha i soldi per coprire la differenza su quel collaterale crollato di valore? Citigroup, magari, che per rallentare il declino non smette di vendere porcherie con l’investment banking ma licenzia 11mila dipendenti nel ramo retail? Deutsche Bank, magari, che trucca i bilanci, lasciando off-balance nientemeno che proprio le posizioni sui derivati (d’altronde ha sede in uno Stato in cui non si calcola nella ratio debito/Pil la corrispettiva tedesca della nostra Cassa Depositi e Prestiti)? Chi altri, Credit Agricole, con leva 1:66 e un’esposizione suicida al nostro debito? Ma non mi fate ridere, se succede davvero tutto questo siamo all’armageddon, alla fine dell’Europa, alla Prima guerra mondiale finanziaria e state certi che non sarà la permanenza del garante Monti a salvarci dai poteri forti, moriremo magari per ultimi o penultimi ma moriremo. Allora, forse, meglio farlo combattendo, piuttosto che da servi. E state certi che se la Bce vuole, può farne davvero tanto di male a fondi speculativi e banche d’affari, anche manipolando (come d’altronde fanno le banche, vedi il Libor).
A la guerre comme à la guerre, per dirla alla francese. Sono tempi duri, cari lettori, ma stiamo vivendo uno snodo della storia recente che sarà destinato a finire nei libri dei nostri nipoti: farlo da protagonisti sarebbe meglio, perché di invincibili, vi assicuro, non ne esistono. Di Lehman Brothers, giganti dai piedi di argilla, ce ne sono in giro più di quanti pensiate. E non sono in Italia.
P.S. Non c’entra con la questione meramente economica e finanziaria ma tout se tient, come si suol dire. Mentre la macchina della disinformazione internazionale lavora alacremente per far passare la versione del pensiero unico sul caso Siria, ci sono – soprattutto negli Usa – blog e voci libere che dicono le cose come stanno, dal campo. E il caso di McClutchy, il quale pubblica un reportage inquietante da Qalat Al Mudiq, in Siria appunto, dal quale si evince che il gruppo Jabhat al Nusra non solo non è un’emanazione del governo di Assad per screditare l’opposizione attraverso atrocità di vario genere (versione Usa, copyright 2011), ma è una frangia operativa di Al Qaeda e sta guidando le forze ribelli che tentano di rovesciare il regime siriano.
Ne sono certi proprio alti ufficiali statunitensi, i quali confermano sia i collegamenti con Al Qaeda, sia il ruolo essenziale del gruppo nelle operazioni militari in prima linea. Di più, il gruppo sarebbe stato responsabile di attacchi di vario genere, anche kamikaze, contro militari Usa e civili in Iraq. La domanda sorge spontanea: perché gli Usa, ancora una volta, si alleano con Al Qaeda, salvo poi piangere per la scelta fatta in nome della real politik? Perché, visto il noto attivismo dell’intelligence militare Usa, francese e britannica accanto ai ribelli siriani, fare fronte comune con chi ha versato sangue americano in Iraq? È proprio vero che la storia non insegna nulla.