A pochi giorni dal voto ci ritroviamo con aziende quotate – per una capitalizzazione di Borsa congiunta superiore ai 140 miliardi di euro – indagate o coinvolte in indagini di varie Procure. Sono Eni, Saipem, Mps e Finmeccanica: “Piazza Affari in mano ai pm”, titolava efficacemente MF-MilanoFinanza mercoledì. Dei primi tre protagonisti e delle vicende che li vedono coinvolti ho già parlato su queste pagine, quindi vorrei dedicare questo articolo del venerdì all’ultimo caso emerso, all’ultimo atto – in ordine di tempo – di attacco al cuore industriale e finanziario dello Stato. Finmeccanica, appunto, precipitata nella crisi dopo l’inchiesta per corruzione internazionale, che ha portato all’arresto del presidente e ad Giuseppe Orsi e del ceo di AgustaWestland, Bruno Spagnolini, e la conseguente decisione dell’India di interrompere i pagamenti e gli acquisti dei restanti nove elicotteri oggetto della commessa al centro dell’indagine della Procura di Busto Arsizio.
Mercoledì sera il cda straordinario di Finmeccanica ha conferito ad Alessandro Pansa, già consigliere e direttore generale del gruppo, le deleghe piene e senza limiti temporali fino a oggi in capo a Giuseppe Orsi, in attesa dell’assemblea prevista per metà aprile e che sarà chiamata a decidere il nuovo management. Inoltre l’ammiraglio Guido Venturoni, consigliere anziano, è stato nominato vice presidente. Insomma, tutto rimandato a dopo le elezioni, visto che sarà il nuovo governo a decidere l’organigramma del gruppo.
La scontata nomina di Pansa è nei fatti un tentativo di tranquillizzare il mercato, il quale teme non solo uno stop al processo di vendita di Ansaldo Energia, ma anche ai contratti, visto che se venisse dimostrata la colpevolezza degli imputati nella vicenda indiana, non solo l’ordine di 12 elicotteri da 750 milioni di dollari verrebbe cancellato, ma Finmeccanica sarebbe anche inserita nella “black list” e, quindi, di fatto distrutta. C’è poi il rischio per il rating. Per l’analista di Royal Bank of Scotland, Rodolphe Ranouil, «l’arresto di Orsi rischia di far uscire le obbligazioni Finmeccanica dagli indici Iboxx investment grade e farli entrare in indici junk. Inoltre, è notevolmente aumentata la probabilità di un downgrade di un gradino anche da parte di Standard & Poor’s».
Chissà con che dolore nel cuore le società di rating, due americane e una francese, taglieranno il merito di credito di un concorrente delle loro aziende nazionali in un settore strategico e fruttuoso come la difesa… E ancora. Gli analisti di Mediobanca non ritengono che Finmeccanica possa avere problemi a livello di costo del debito (le obbligazioni e le linee di credito revolving sono prive di covenant finanziari), mentre per quanto concerne il rifinanziamento c’è un bond da 800 milioni di euro che scade a dicembre di quest’anno. Tuttavia «le incertezze legate alle possibili cancellazioni di ordini, alla capacità di competere sul mercato alla luce delle nuove inchieste, oltre al probabile ritardo della cessione di Ansaldo Energia ci portano a mantenere una raccomandazione neutrale sul titolo», affermavano gli analisti di Intermonte.
Ed ecco i primi incastri e le prime spiegazioni della mossa del cda straordinario. Banca Akros, infatti, ha tagliato la valutazione da hold a reduce: «Se Zampini, che è l’attuale amministratore delegato di Ansaldo Energia, verrà nominato ad di Finmeccanica, riteniamo che non cederà Ansaldo Energia e questo significa che il rischio di un aumento di capitale diventerebbe più probabile». Non è andata così. In caso di condanna, poi, Finmeccanica rischia appunto la sanzione interdittiva (non poter partecipare alle gare pubbliche del Governo italiano), uno scenario devastante visto che il 30% del fatturato è generato in Italia. Lo stesso rischio lo corre l’AgustaWestland, la controllata più importante del gruppo aerospaziale e della difesa controllato dal ministero dell’Economia, proprietario del 30,2% del capitale di una società che, dopo due giorni di tonfi, secondo la Borsa vale appena 2,5 miliardi di euro, mentre il resto del capitale è frammentato tra 438mila azionisti.
Se si considera che Finmeccanica è il secondo gruppo industriale italiano dopo la Fiat, con ricavi nel 2011 per 17,5 miliardi di euro e 68.321 dipendenti al 30 settembre 2012, questo modesto valore, pur scontando le sensibilità della Borsa, dà l’idea del senso di declino che c’è intorno alla grande industria italiana. Ma ci fa anche capire che rischio sta correndo in questi giorni e ore il sistema Paese.
Un fulmine a ciel sereno? No, proprio per niente. Giuseppe Orsi, infatti, è stato nominato ad di Finmeccanica il 4 maggio 2011 dal ministro Giulio Tremonti e il primo dicembre, pochi giorni dopo l’insediamento di Mario Monti, ha ottenuto anche la presidenza, con le dimissioni di Pier Francesco Guarguaglini. Forse anche per questo, malgrado dal 24 aprile 2012 si sapesse che Orsi è indagato per corruzione internazionale, Monti non è intervenuto, almeno per affiancarlo con un altro manager. Oppure no? Ma come, un Governo di tecnici, così rigoroso e integerrimo rispetto anche al minimo sospetto di corruzione o malaffare, lascia per nove mesi a capo del secondo gruppo industriale italiano, oltretutto in un settore delicato e strategico come la difesa, un indagato per corruzione internazionale? Mah. Non si poteva, magari, mettere Orsi nelle condizioni di dimettersi, come fatto con l’ex presidente di Finmeccanica, quel Pier Francesco Guarguaglini che proprio pochi giorni fa è stato completamente scagionato dalle accuse che gli costarono il posto il primo dicembre 2011, giorno delle sue dimissioni?
Mario Monti, interpellato sul tema, ha dichiarato: «Abbiamo esercitato tutte le pressioni possibili, compatibili con lo statuto di società per azioni quotata in Borsa e con la situazione dell’inchiesta riguardante lo stesso Orsi». Non possiamo che credergli sulla parola. Così lo stesso Guarguaglini tre giorni fa rispondeva a una domanda postagli nel corso di un’intervista concessa a Il Sole 24 Ore e nella quale gli si ricordava come proprio Giuseppe Orsi dicesse che “il presidente di Finmeccanica non può essere indagato”: «Non mi sono dimesso per le indagini. Il cda di Finmeccanica ha deciso di togliermi i poteri e passare le strategie a Orsi. Potevo restare presidente senza poteri, come tanti. Non l’ho fatto perché non è nel mio carattere e perché ritenevo che le strategie di Orsi fossero diverse dalle mie. Orsi sosteneva che chiunque di Finmeccanica avesse ricevuto un avviso di garanzia avrebbe dovuto dimettersi. Gli dissi: non lo faccio di sicuro ed è bene che tu non lo dica a voce alta».
Come anticipato, Pier Francesco Guarguaglini è stato completamente scagionato dalle accuse che gli venivano rivolte, ma, come sempre accade, se l’avviso di garanzia vale la prima pagina, l’assoluzione o il proscioglimento finiscono in un trafiletto in cronaca, se non si prende il tè nei salotti buoni. Ora, con il massimo e totale rispetto per gli inquirenti di Busto Arsizio, se per caso alla fine di questa vicenda anche Orsi e Spagnolini risulteranno estranei agli addebiti che vengono loro rivolti, come e in quanto sarà quantificabile il danno subito dal secondo gruppo industriale italiano, dall’economia nazionale e da qualche centinaio di migliaia di investitori? Ma sicuramente i giudici lombardi avranno avuto le loro buone ragioni per procedere con l’arresto, cambiamo argomento.
C’è infatti anche un riflesso tutto politico-finanziario-diplomatico-industriale al terremoto scatenatosi su Finmeccanica, un particolare che rende quanto sta accadendo molto interessante. Finmeccanica, se il governo vuole, può infatti essere messa al riparo dal rischio di cannibalizzazione da parte di competitor esteri, da scalate ostili: lo si può fare subito, ora. C’è infatti un importante strumento in mano all’esecutivo per determinare la direzione in cui si muoverà nelle prossime ore tutta la vicenda: la golden share. Quella sul settore della difesa, infatti, è la prima (e al momento l’unica, guarda caso) parte completata della nuova normativa antiscalata. Il primo decreto sulla nuova golden share voluta dal governo guidato da Mario Monti indicava, infatti, solo le linee generali a cui avrebbe dovuto ispirarsi la nuova normativa settoriale, nei comparti della difesa, delle telecomunicazioni, dei trasporti e dell’energia.
Per renderla effettiva erano necessari due o più dei Dpcm (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri) con i quali si sarebbero individuati i singoli settori di possibile intervento. Al momento solo il Dpcm relativo al comparto della difesa è stato emanato e ciò significa che Finmeccanica, prima azienda del settore in Italia, non è senza difesa davanti a possibili scalate straniere. Ipotesi quest’ultima che non si può escludere a priori, vista la bassa capitalizazione della società (meno di 2,5 miliardi) e il fatto che il titolo continui a perdere terreno in Borsa. In particolare in base alle nuove norme, approvate dal Consiglio dei ministri prima della pausa estiva, il premier può esercitare i propri poteri speciali attraverso imposizione di specifiche condizioni all’acquisto di partecipazioni, tramite veto all’adozione delle più significative delibere societarie e l’apposizione di specifiche condizioni.
Infine, il presidente del Consiglio ha anche il potere di opporsi all’acquisto di partecipazioni che raggiungano un livello tale da compromettere gli interessi protetti. Insomma, un firewall che Mario Monti ha sentito il bisogno di rendere di fatto operativo prima dell’estate, quando la sua luna di miele con gli italiani era già compromessa, si sentivano i primi scricchiolii nell’oceanica maggioranza che ne sosteneva l’esecutivo e gli spread cominciavano a rialzare la testa. Per la difesa, però, occorreva agire prima del meritato riposo estivo, solo per la difesa però. Perché? Forse perché si era già deciso che Ansaldo Energia sarebbe stata venduta, forse perché l’indagine già aperta da tempo dalla Procura di Milano su presunte tangenti di Saipem – controllata Eni – in Algeria non faceva paura, perché trasporti e telecomunicazioni non parevano settori in grado di essere assaliti e che invece la difesa, quella traballava. Stante anche quell’avviso di garanzia a Orsi di tre mesi prima, magari.
Il presidente del Consiglio, Mario Monti, sottopose infatti “per informativa’’ al Consiglio dei Ministri il Dpcm che «definisce il regolamento per l’individuazione delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale», il 10 di agosto dello scorso anno, praticamente a ridosso dei fuochi d’artificio di Ferragosto e con gli italiani in spiaggia o a bollire nelle città arroventate causa crisi. Il Consiglio dei ministri, ovviamente, diede via libera. Di più, potrebbe rientrare nel perimetro di applicazione dei nuovi poteri speciali anche Avio, controllata dal fondo britannico Cinven. Insomma, se servirà, Mario Monti è pronto a far valere le sue prerogative ed ergersi a salvatore della patria industriale, proprio a ridosso del voto. Coincidenze davvero fortunate.
Interpellato sul tema, mercoledì il premier si è così espresso: «Ora che tutto è chiaro, il governo punta a una governance efficace e a personalità di alto livello per la Finmeccanica». Scusate, cosa è chiaro? Orsi non è condannato, è sì in carcere per rischio di inquinamento delle prove, ma fino al terzo grado di giudizio, da che mondo e mondo, nessuno è innocente o colpevole. Prima si fa il processo, poi si capisce come sia andata la vicenda: cosa è chiaro fin d’ora, quindi? Forse chiaro è il destino dell’azienda, nel senso che Mario Monti sa esattamente cosa farne, chi piazzare ai suoi vertici, se vendere o meno Ansaldo Energia (la venderà, altrimenti toccherà fare un aumento di capitale da massacro, dieci volte peggio quello fallimentare di Unicredit), se questo, se quello. Una cosa è certa: con i tempi della giustizia, ci vorrà un po’ prima che i tribunali scrivano la parole fine sul caso Orsi e Spagnolini, ma da quella sentenza dipende il futuro di Finmeccanica. Se sarà di colpevolezza, si rischia di andare in black list, di perdere la possibilità di partecipare alle gare d’appalto italiane e quasi certamente anche estere, insomma di perdere valore a tal punto da essere una scatola vuota o poco più. Vuota o magari da svuotare, parcellizzandone o cannibalizzandone nel frattempo le eccellenze, le divisioni all’avanguardia, i rami più strategici e dai profitti maggiori.
Sarebbe, in questo caso, per il bene supremo dello Stato, dell’azienda, dei lavoratori e del comparto, un allentamento della golden share quando si saranno calmate le acque, chiuse le urne e narcotizzati i titoloni di giornali e via libera alla grande spartizione del secondo gruppo industriale italiano, con il primo già al check-in da tempo pronto per trasferirsi in America. Qualche esempio dello spezzatino prossimo venturo? Prima di tutto, c’è un’ampia e specifica relazione dei nostri servizi d’intelligence sulla minaccia alle proprietà italiane delle nostre imprese dello scorso anno, un report che tracciava le azioni in atto da parte di multinazionali estere per acquisire quote di capitale, se non la proprietà, di aziende italiane.
Sarebbero almeno otto le filiere produttive che catalizzano interessi internazionali, di cui alcune in settori strategici. Gli americani, intanto. Un capitolo è quello di Drs, società della difesa Usa comprata nel 2008 da Finmeccanica per 3,4 miliardi di euro. La compravendita fu dunque stipulata quando a Washington il presidente era George Bush, mentre oggi con Barack Obama il fatto che Drs sia ancora in mano italiana non è gradito Oltreoceano. E ci sono moltissime attività di Drs del tutto secretate dagli Usa, che Finmeccanica neanche conosce. Le condizioni per modificare questa situazione ormai paradossale, dunque, cominciano a essere molte. Concreto poi è il malumore degli inglesi per la vicenda AgustaWestland, esposta alle cronache di tutto il mondo per la storia della tangente all’India. L’irritazione di Londra è comprensibile: l’episodio giudiziario rischia di trasformarsi in una mazzata sulle possibilità commerciali dell’azienda, nonostante la qualità produttiva dei suoi elicotteri e rischia di avere pesanti ripercussioni occupazionali sugli stabilimenti britannici che producono i velivoli. Ci sono poi i francesi, come accennava il report dei nostri servizi di informazione e sicurezza: è noto l’interesse della Thales per la Waas, azienda di Finmeccanica leader a livello mondiale nel settore dei sistemi subacquei come i siluri, ma la multinazionale francese potrebbe essere interessata anche ad Ansaldo Sts e a Selex, mentre su Ansaldo Energia sono note le mire dei tedeschi di Siemens e dei coreani di Samsung. Insomma, piatto ricco e politica assente causa campagna elettorale. Chissà se il presidente Giorgio Napolitano sarà costretto a toccare l’argomento nel suo ultimo viaggio presidenziale in corso proprio in questi giorni e proprio negli Usa, dove un Monti-bis è più atteso del giorno del Ringraziamento e di Natale messi assieme. L’Italia, vent’anni dopo e ancora una volta, è in svendita.
P.S. Da Panorama.it: «I dati parlano chiaro. A fine dicembre 2012 La Commissione Centrale per la Vigilanza (Cvc) ha pubblicato il rapporto annuale sul tasso di corruzione del Paese, basato su centinaia di migliaia di denunce da parte di singoli cittadini e anche di piccoli e medi gruppi imprenditoriali. Il panorama è impietoso. Solo contro le ferrovie dello Stato (ente pubblico) sono state depositate 8.805 denunce di corruzione. Poco più di 5.000, invece, le accuse di corruzione dirette a impiegati e funzionari degli uffici fiscali. E anche il settore delle banche non si sottrae all’ombra lunga della corruzione. Subito dopo le ferrovie e i trasporti, sono proprio i funzionari bancari a distinguersi per tasso di corruzione e corruttibilità: 8.430 le denunce a loro carico in tutto il 2011. Non mancano poi gli impiegati governativi della capitale Delhi, colpiti da 4.783 denunce, e i funzionari del ministero per lo Sviluppo urbano, che hanno totalizzato 3.921 accuse e se la dovranno vedere in tribunale. Ma anche tutti gli altri ministeri non si discostano dal trend che vede la corruzione come una sorta di sport nazionale. Dalle telecomunicazioni al dicastero per l’Energia è tutto un giro di mazzette e di conseguenti denunce. Segno che l’intero sistema sta franando e che gli sforzi del governo per punire chi commette simili crimini sono ancora lontani dall’ottenere risultati tangibili. Anche le aziende non scherzano. Secondo le ricerche svolte da varie organizzazioni che lottano contro la corruzione, il tasso di integrità e trasparenza della maggior parte delle imprese indiane registra livelli molto bassi e frequenti scandali colpiscono le aziende che operano in territorio indiano, sia straniere che locali. Molti imprenditori sono regolarmente accusati di versare tangenti a funzionari molto esosi». Di chi Paese si sta parlando? Dell’India.