Tranquilli, non vi ammorberò con il classico pezzo sul “giovedì nero” delle Borse innescato dalla pubblicazione delle minute della Fed, in base alle quali si evince la propensione di alcuni membri a un ridimensionamento o addirittura a un’interruzione del piano di acquisti sul mercato secondario, prima che venga raggiunto l’obiettivo di miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro Usa. Non perché non sia una notizia, ma perché l’ho scritto tra settimane fa: chi, quindi, oggi vi parla di mercati presi in contropiede è meglio che vada a fare un altro mestiere. Ieri, infatti, le Borse hanno sì preso una bella batosta, ma in apertura qualcuna era positiva: hanno virato dopo, mentre le minute della Fed erano note dalla sera precedente.
Vuoi vedere che la notizia che ha scatenato la sell-off generale sui titoli bancari è un’altra e i grandi giornali se ne accorgeranno solo tra qualche settimana? Eccola. La Commissione Ue ha infatti approvato temporaneamente la garanzia per 18 miliardi di euro data dallo Stato francese al Credit Immobilier de France per coprire i bisogni immediati di tesoreria: entro sei mesi la Francia dovrà presentare un piano di ristrutturazione dell’istituto. Ma ecco la frase da brividi che motiva l’intervento e la garanzia: la decisione si è resa necessaria «per evitare effetti di contagio nel sistema bancario francese». Insomma, sta saltando il tappo della Francia, come vi dico da tempo, esattamente dal 22 maggio 2012 quando dedicai il mio articolo “C’è del marcio sotto la Torre Eiffel” proprio a CIF e all’andamento da bancarotta di un suo bond, sintomo che qualcosa di grosso risiedeva e in profondità nei conti dell’istituto.
Meno di un anno e siamo al salvataggio di Stato con garanzia della Commissione Ue. Ma se salta il tappo francese, come lo champagne a Capodanno, salta l’eurozona, visto che Italia e Spagna sono tutt’altro che salve e la Grecia, che conta per il 2% del Pil dell’Ue, è ridotta alla fame nonostante tre salvataggi e uno swap. Alla luce di quanto emerso ieri da Bruxelles, assume nuova consistenza anche la gaffe in cui era incappato a fine gennaio il ministro del Lavoro francese, Michel Sapin, il quale nel corso di un’intervista radiofonica aveva dichiarato quanto segue: «In Francia c’è uno Stato, ma è totalmente in bancarotta, per questo dobbiamo mettere in atto un piano di riduzione del deficit e nulla deve distrarci da questo obiettivo». Già, peccato che la Banca di Francia abbia già certificato una fuga di capitali dal Paese dovuta alla geniale intuizione del governo Hollande di tassare al 75% chi guadagna più di un milione di euro, nonostante non solo questa tassa porti nella casse dell’erario poche centinaia di milioni, ma anche che sia stata definita ingiusta dalla stessa Corte costituzionale francese, quindi a rischio ricorsi a Strasburgo.
A fronte di questo, dalla fine dello scorso anno, oltre 100 miliardi di euro di fondi privati sono tornati verso i paesi cosiddetti periferici, qualcosa come il 9% dell’output economico di Spagna, Italia, Portogallo, Irlanda e Grecia, tutti ringalluzziti dalle promesse di strenua difesa dell’euro poste in campo da Mario Draghi: insomma, dal contagio negativo a quello positivo. È così? In parte, ma in parte si chiama rotation, ovvero passare da un’insolvenza potenziale a un’altra nella speranza di farsi meno male possibile o addirittura di guadagnare qualcosa prima del botto finale. Non si spiegherebbe, altrimenti, perché la Banca centrale svizzera continui a comprare bonds francesi di ogni scadenza, visto che un ministro della Republique in persona ha definito quel Paese «in bancarotta».
Il problema è che se l’Europa è traballante ma ancora in piedi è solo grazie al backstop della Bce e al denaro dei fondi privati, stante il crollo senza precedenti nel quarto trimestre dello scorso anno del prestiti M3 a istituzioni non finanziarie. Ora, sorge il dubbio che l’operazione militare in Mali sia stata soltanto una patetica e infruttuosa copiatura di quel capolavoro per far ripartire l’economia Usa che si chiamò invece Vietnam… Scherzi a parte (e non sto scherzando), sempre ieri la Commissione europea ha sparato un altro siluro verso Parigi, dichiarandosi quasi certa che le stime sull’economia francese che verranno pubblicate oggi non mostreranno quasi nessuna crescita per quest’anno e soprattutto che non verrà centrato il target per il deficit. Lo ha detto la radio francese RTL, riferendo che la Commissione stimerà una crescita di 0,0-0,1% del Pil in Francia quest’anno e un deficit al 3,6% del Pil. Lo stesso presidente, Francois Hollande, ha riconosciuto che la crescita economica francese probabilmente sarà sotto le previsioni ufficiali del suo governo dello 0,8%, allontanando l’obiettivo di un deficit al 3% del Pil. Insomma, crescita zero, obiettivo di riduzione del deficit fallito miseramente, outflow di capitali e ora anche il rischio contagio sul sistema bancario: chissà se dal suo esilio dorato chissà dove, il buon Nicolas Sarkozy avrà ancora voglia di ridacchiare.
Io no, perché qui la faccenda è seria davvero, non si tratta di giocare con i numeri al Lotto dell’economia greca come hanno fatto quei geni della troika per mesi, qui si tratta di farsi male. E tanto. D’altronde, i francesi un po’ se la sono anche cercata. Come hanno potuto credere a Francois Hollande, quando in campagna elettorale parlava di crescita economica nel 2013 all’1,7%? Forse qualche dubbio è emerso quando, appena entrato all’Eliseo, si è precipitato a rivedere al ribasso quella stima, portandola a un comunque sempre lunare 1,2%. A fine anno, in sede di compilazione della finanziaria, ancora più giù: 0,8%. Pochi giorni fa, intervistato da RTL, il ministro degli Esteri, Laurent Fabius, ha gettato la maschera, parlando di uno 0,2-0,3%. No, bisogna scendere ancora, a detta della Commissione europea.
E il deficit di budget al 3%? Per Fabius, «non è stato abbandonato, si tratta di un ritardo». Il perché è presto detto: il sistema di welfare francese è insostenibile. Prendiamo i benefit familiari per i figli. Con un solo figlio lo Stato non dà benefit, ma per due si percepiscono 127 euro al mese, per quattro 452 euro al mese, mentre per ogni figlio in più gli euro extra diventano 162 al mese. Facciamo l’esempio di un cittadino, padre di otto figli: può contare su 1100 euro al mese, esentasse qualsiasi sia il suo reddito. In compenso, una madre single con salario minimo non riceve nulla.
L’ultima persona che aveva provato a mettere mano a questo stipendificio statale era stato l’ex premier Lionel Jospin, il quale propose tre strade alternative: limitare benefit per i genitori ad alto reddito, includere i benefit nell’imponibile tassabile, mantenere i benefit sono per i genitori con salari molto bassi. Fu una sorta di seconda Rivoluzione e il buon Jospin, per salvarsi la ghirba, ritirò le proposte. Ora, però, i nodi stanno venendo al pettine e la notizia giunta ieri dalla Commissione riguardo il prestito a CIF deve davvero far drizzare le antenne. Se il contagio passa alla Francia, non c’è cura.
P.S.: Ho letto mercoledì sul Corriere della Sera, prontamente ripreso da un articolo sull’Huffington Post che «chi fa il giro dei sondaggisti alla vigilia del voto, come Blackrock, ha tutta l’aria di voler preparare tattiche da fine settimana: prendere posizioni venerdì, rialzate o al ribasso, in base agli ultimi rilevamenti». Accipicchia! Quindi BlackRock, uno degli investitori più grandi al mondo (620 miliardi di dollari di assets), manda suoi emissari a Roma da Mannheimer o dalla Ghisleri o da Pagnoncelli per vedere i sondaggi e poi decide tra short e long? Non fanno prima a farseli mandare via mail, visto che sono non divulgabili o pubblicabili ma BlackRock, almeno che io sappia, non è un giornale o una tv ma un fondo di investimento? Il quale, oltretutto, se ha informazioni privilegiate in mano, ha tutto l’interesse a stare zitto e tenersele per sé, almeno credo? Ma tant’è, crediamo a questa questua demoscopica di gente che se vuole si compra tutti i giornali e sondaggisti del mondo in un quarto d’ora.
Ora, per quanto sia vero che a partire dallo scorso giugno, BlackRock sia tornata ad acquistare debito italiano e spagnolo su tutte le scadenze – lo confermò il capo del reddito fisso, Rick Rieder – questo investimento è una goccia nel mare di assets trattati da BlackRock, per la quale l’Italia è tutt’altro che strategica e così fondamentale da mandare emissari. L’Huffington Post, poi, si spingeva oltre, ricordando come BlackRock quando vuole far male all’Italia sa come fare, come nel caso dell’aumento di capitale di Unicredit o della vendita del pacchetto azionario di Saipem prima del profit warning. Vi dico un segreto, amici dell’Huffington, ma non ditelo a nessuno: tutti i grandi players, fondi o banche d’investimento, fanno trading sugli istituti di credito. Lo giuro! Quando poi c’è un aumento di capitale, si leccano anche le dita come con i Fonzies. Sul caso Saipem, poi, siete proprio sicuri che sia stata BlackRock a vendere il 2,3% delle azioni? Io di certo so solo che il placement lo ha fatto Merrill Lynch a Londra. E che se devo puntare il dito, lo punto su Fidelity.