Comincio a pensare che la Bce non sia una banca centrale, ma la vera sede del governo italiano, visto le sempre maggiori conferme che giungono in tal senso. L’ultima, a dir poco inquietante, è contenuta nel nuovo libro dell’ex membro del consiglio esecutivo dell’Eurotower, Lorenzo Bini Smaghi, “Morire di austerity”. Ovvero, nell’ottobre-novembre 2011 Silvio Berlusconi stava seriamente ponendo in essere un piano per far uscire l’Italia dall’euro, ragione che portò al suo immediato allontanamento da Palazzo Chigi per volontà dei “gendarmi” dell’eurozona. Nello specifico, il Cavaliere avrebbe discusso del ritiro italiano dalla moneta unica durante meeting privati con altri governanti europei, con ogni probabilità Angela Merkel e Nicolas Sarkozy. Testualmente, il libro dice che «l’ipotesi d’uscita dall’euro era stata ventilata in colloqui privati con i governi degli altri paesi dell’euro». Ma non basta. Per Bini Smaghi, la Merkel è rimasta convinta della possibilità di espellere la Grecia dall’eurozona fino al tardo autunno del 2012, salvo poi essere riportata a più miti consigli dalla Bundesbank, la quale le fece notare i 574 miliardi di euro di crediti che vantava verso le banche centrali di Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia, Cipro e Slovenia attraverso il programma Target2. Quindi, un altro mito che crolla: non è vero che il sistema di pagamento interno della Bce è soltanto una variazione tecnica, senza rischi significativi, in caso una nazione decidesse o fosse obbligata a lasciare la moneta unica.
Per Bini-Smaghi, infatti, «la banca centrale (di quel Paese, ndr) non sarebbe stata in grado di ripagare le liabilities accumulate verso altri membri dell’eurosistema, le quali sono registrate nel sistema di pagamento interno dell’Unione (Target2). L’insolvenza provocherebbe perdite sostanziali per le controparti nelle altre nazioni, inclusi Stati e banche centrali». Ora, non so se Bini-Smaghi abbia raccontato una bugia o la verità, ma resta il fatto che un ex membro della Bce, nonché uomo dell’Italia a Francoforte per anni, ha scritto nero su bianco che Berlusconi stava pensando di uscire dall’euro, ne aveva parlato con altri governanti europei in riunioni e visite private e per questo è stato fatto fuori nell’inverno del 2011.
Questo, a casa mia, si chiama golpe. E apre nuovi interrogativi: non sarà che la cavalcata dello spread cominciata nell’estate di quell’anno e culminata con quota 575 prima dell’arrivo a Palazzo Chigi di Mario Monti fosse frutto di un accordo tra Bce-Bundesbank e governo tedesco per far fuori Berlusconi, dopo che questo aveva reso partecipe la Merkel dei piani che gli frullavano per la testa? Si spiegherebbe il perché di quegli 8 miliardi di debito italiano scaricati da Deutsche Bank nella primavera 2011, gridandolo ai quattro venti e coprendosi oltretutto con l’acquisto di cds. E si spiegherebbe il perché nessuno chiese conto al gigante tedesco di quanto fatto, né la Bce, né l’Eba. Dubbi, ovviamente senza una riprova se non la parola di Bini-Smaghi. Il quale, se ricorderete, per un periodo fu in predicato di finire a capo di Bankitalia al posto di Mario Draghi ma poi decise di accettare un incarico accademico in una prestigiosa università statunitense: andò davvero così? O quando ebbe la conferma che dentro Bankitalia il suo nome era sgradito e che Monti non avrebbe fatto nulla per perorare la sua causa preferì anticipare tutti e crearsi una nobile alternativa? Quanto scritto nel suo libro, quindi, va inteso come la classica pariglia che Bini-Smaghi ha voluto restituire a Monti e Napolitano? Solo lui potrebbe confermarlo, ma gli indizi e le coincidenze sono tanti, davvero troppi per bollare quelle parole solo come fantasie.
Ieri, poi, è giunta l’ennesima riprova, l’ultimo ed ennesimo siluro della Bce, di fatto quasi una seconda lettera di compiti a casa al nostro governo, seppur sottoforma di allarme apparentemente rituale. Per la Banca centrale europea, infatti, il forte aumento del fabbisogno finanziario italiano, salito a 51 miliardi a luglio 2013 a causa del rimborso dei debiti verso le imprese, mette in risalto i rischi crescenti per il conseguimento da parte dell’Italia dell’obiettivo di disavanzo delle amministrazioni pubbliche nel 2013 al 2,9% del Pil. Ad agosto, ha rimarcato la Bce, il governo italiano ha annunciato, per l’anno in corso, l’abolizione della prima rata dell’imposta sulle abitazioni principali di proprietà: il mancato gettito (pari a 2,4 miliardi di euro circa, ossia lo 0,1% del Pil) sarà compensato mediante un contenimento della spesa e maggiori entrate. Sempre in agosto, il Parlamento ha poi deciso di rinviare di tre mesi, al 1 ottobre, l’aumento di 1 punto percentuale dell’aliquota ordinaria dell’Iva, anche se le inferiori entrate dovute a tale rinvio saranno bilanciate da maggiori accise su alcuni prodotti e da imposte dirette temporaneamente più elevate. Infine, è stato convertito in legge il Decreto del fare, che prevede una serie di misure intese ad accrescere gli investimenti in infrastrutture, semplificare le procedure burocratiche, aumentare il credito alle imprese (soprattutto alle piccole e medie imprese) e migliorare l’efficienza della giustizia civile.
Insomma, la Bce si è sentita in dovere di entrare a gamba tesa sulle scelte di politica economica italiana, casualmente ponendo l’accento su uno dei nodi più spinosi nel rapporto tra Pd e Pdl, ovvero l’Imu. Come se non bastasse, altra frecciata sulla questione dell’Iva, ancora in discussione seppur con un consenso generale che vede l’esecutivo pronto praticamente a qualsiasi mossa pur di evitare una decisione che potrebbe risultare fatale in un contesto di consumi e domanda interna praticamente ferma. Oltretutto, questa preoccupazione preventiva appare strumentale anche per il fatto che una sorta di offsetting per il mancato gettito garantito dall’aumento dell’Iva è già stato posto in essere dall’aumento delle accise e di altre tasse, seppur in maniera transitoria.
Come mai la Bce ha sentito il bisogno di fare le pulci solo all’Italia? La Spagna non mostra debolezze nell’azione di contrasto della crisi da parte del governo, al netto della delirante politica di abbattimento dei cantieri bloccati dalla crisi per alleggerire i bilanci delle banche e cercare di stimolare la domanda riducendo l’offerta (ci vorranno almeno 10 anni, visto quanto si è costruito durante il boom zapateriano)? Vogliamo parlare della Francia e del suo tasso di disoccupazione, con il governo che offre come unica risposta la volontà di attaccare la Siria? Evito per carità di patria di parlare di Grecia e Cipro, ma il Portogallo mi sembra calzante, come esempio: come ha fatto Lisbona a raggiungere il risultato dell’avanzo primario? Privatizzando asset pubblici, una manovra assolutamente una tantum, ma non mi ricordo di intemerate della Bce contro il Paese lusitano, soprattutto durante i giorni difficilissimi della crisi di governo e del rimpasto – non ancora compiuto fino in fondo – di inizio agosto. L’Italia, invece, proprio nel pieno del periodo peggiore per le aste e con l’esecutivo la cui vita appare appesa a un filo, può essere bacchettata en plein air e additata al pubblico ludibrio dei mercati. E meno male che a capo della Bce c’è un italiano!
Sforiamo il 3% di ratio debito/Pil? Chissenefrega dico io, questa Europa è la stessa che ci massacra non appena può, è l’istituzione alla quale diamo più di quanto riceviamo, è il simposio che permette all’Eba di fare figli e figliastri nei criteri di valutazione degli assets bancari, è il direttorio che per dar retta all’azionista di maggioranza, la Bundesbank, ci ha fatto spendere tre volte tanto per non salvare la Grecia, quando mettendo mano al portafoglio tre anni fa avremmo già risolto il problema ed evitato il contagio (ma non si poteva, perché le banche tedesche dovevano prima scaricare a buon prezzo la carta igienica ateniese che avevano in portafoglio), è il Leviatano che non azzecca una previsione, rivede le stime ogni settimana, parla di ripresa da tre anni senza che nessuno abbia visto nemmeno l’ombra di un green shot, è il governo non eletto che impone ai nostri comuni virtuosi di non poter spendere i soldi che hanno in cassa – creando sì, in quel caso, occupazione sana e reale – in ossequio al suo delirante Patto di stabilità.
Per quanto ancora dovremo abbassare la testa e dire sì? Viene da chiedersi se il governo non debba dotarsi – e in fretta – di un ministro delle Finanze e non di un pedissequo portavoce di Mario Draghi e dei desiderata della Bce, quale è Saccomanni.