Il bello del mio lavoro è che, nonostante tutte le seccature e i guai che la vita può portarti, c’è sempre una notizia in arrivo dai mercati finanziari in grado di risollevarti la giornata e farti fare una sonora risata. Io la chiamo la “perla”. E ieri ho riso veramente di gusto quando ho letto che il Tesoro greco, alla prima asta di emissioni a media lunga scadenza (5 anni) dopo quattro anni di esilio, ha raccolto 3 miliardi di euro registrando il pienone di domande (20 miliardi, per un rapporto di copertura di quasi 6,7 volte) e ha spuntato un tasso di interesse ben inferiore a quello che ci si attendeva: 4,75% contro la guidance che prevedeva un tasso compreso tra il 5% e il 5,25%.
Vi rendete conto, un Paese che vanta il 26,7% di disoccupazione e rating ampiamente non investment grade (B- per Standard & Poor’s e Fitch e Caa3 per Moody’s) ha suscitato l’interesse di oltre 550 investitori pagando uno yield pari a un settimo di quanto richiesto durante la ristrutturazione del debito! Direte voi, la Grecia è salva e visto che il Fmi addirittura stima una crescita per il 2015 del 2,9% (levateje er vino, come direbbero a Roma), questo investimento è di quelli da non farsi scappare. Tutto vero, con il costo del denaro a zero e liquidità ancora in circolo grazie al Sert monetario delle banche centrali, nel breve è un investimento speculativo da leccarsi i baffi. Speculativo però, non di fiducia a lungo termine nell’economia del Paese, non lo specchio della realtà greca. Tanto più che per rassicurare gli investitori e garantirsi quella ratio bid-to-cover degna della Svizzera, Atene ha deciso di sottoporre tutte le nuove emissioni alle normative britanniche, una scelta che era stata già fatta in occasione delle passate ristrutturazioni del debito pubblico mediante scambio di obbligazioni.
E cosa significa? Che se anche Atene andrà di nuovo in default o dovrà ancora ristrutturare il proprio debito, l’impugnazione di quella carta sarà questione che riguarderà un tribunale di Londra: dove, la storia lo insegna, i giudici danno sempre ragione ai detentori e l’emittente deve sempre pagare il 100% del valore. Insomma, il governo greco pur di far bella figura e tornare sui mercati del finanziamento ha inchiodato le prime travi del patibolo sul quale sarà impiccato dagli stessi investitori che ora tanto blandisce. Il mercato in questo momento è vorace di rendimenti, visto che viviamo in un mondo dominato dalla “financial repression”, in cui i bilanci delle banche centrali possono far lievitare i prezzi a comando. Il nuovo titolo greco andrà bene, almeno per un po’, ma il suo rendimento non rispecchia i rischi reali del Paese: ormai il mercato è un luogo in cui le valutazioni non hanno più un significato.
Pensate che in scia al newsflow sull’asta di ieri, gli stessi bond ellenici hanno sovraperformato sul mercato secondario con il costo di finanziamento della carta a 10 anni sceso sotto la soglia del 6%. Durante il picco della crisi, i rendimenti hanno sfiorato il 20%. Parliamoci chiaro, a essere buoni il nuovo bond greco a 5 anni avrebbe dovuto essere prezzato almeno 100 punti base di più per avvicinarsi al fair value dovuto al rischio di credito del Paese, ma la fame di rendimenti è una brutta bestia e se ad Atene non sono stupidi aumenteranno sul breve le emissioni per sfruttare l’euforia del parco buoi, piazzando carta da parati e facendola pagare come una tela di Picasso.
Anche l’Argentina ha passato fasi di euforia durante la ristrutturazione, ma i problemi poi si sono ripresentati, basti vedere lo stato attuale dell’economia e la farsa della denominazione della valuta sui mercati ufficiale e nero. Ma tant’è, viva la Grecia! D’altronde, come non essere euforici se si investe: le minute della Fed hanno di fatto spazzato via dagli schermi dei trader la minaccia di aumento dei tassi una volta raggiunta quota 6,5% di disoccupazione e stando a quanto riportato da Bloomberg, gli esperti si aspettano che Mario Draghi decida di intervenire entro i prossimi due mesi, a causa della minaccia di deflazione. È quanto risulta dal sondaggio mensile (Bloomberg Monthly Survey) che rivela come due terzi degli operatori interpellati ritengano che la Banca centrale europea prenderà una decisione entro giugno.
Non la pensa però così il numero uno della Bundesbank, Jens Weidmann, che intervistato da Cnbc ha risposto con queste parole alla sollecitazione in merito: «Mario Draghi è stato molto chiaro nell’ultima conferenza stampa. Pensiamo che i rischi di deflazione siano molto limitati, visto che il nostro outlook prevede una graduale ripresa che porterà con sé anche un graduale aumento dei tassi di inflazione». Insomma, campa cavallo: non a caso, ieri il cross euro/dollaro ha sfondato e alla grande quota 1,3850 e veleggia verso 1,39. Ma ai mercati questo non interessa, si compra tutto e si pensa positivo.
Peccato che a pensare il contrario ci siano parecchi economisti, i quali nel corso di un panel tenuto a Berlino con funzionari del governo tedesco hanno detto chiaro e tondo alla Germania che con la sua intransigenza sta giocando col fuoco: ovvero, la crisi del debito dell’eurozona è destinata a intensificarsi ed esplodere di nuovo su scala più vasta una volta che sarà terminato il ciclo della liquidità. Già, perché paesi come l’Italia con il 133% di ratio debito/Pil o la Grecia dell’emissione record con il 170% potrebbero piangere lacrime amare una volta che si precipiti nella prossima correzione con i mercati però molto meno liquidi e in cerca di beni rifugio.
E a mettere una sorta di pietra tombale sull’ottimismo di investitori e governo greco rispetto al ritorno sui mercati ci ha pensato uno che quella realtà la conosce molto bene, ovvero Charles Dallara, ex capo dell’International Institute for Finance e capo-negoziatore dei creditori privati della Grecia nel corso della ristrutturazione del debito. Insomma, “Mister haircut”. E cosa ha detto a Berlino? «Non dovremmo farci distrarre da quanto sta succedendo sui mercati finanziari, ma guardare piuttosto alle sottostanti condizioni delle economie della Grecia ma anche di Italia e Spagna, ad esempio. Il ritmo della loro ripresa è troppo lento e doloroso, tanto che sta per diventare una sfida per la stessa tenuta democratica». E ancora: «C’è stata troppa austerity e poche riforme strutturali. Il credito sta continuando a contrarsi nel cuore dell’eurozona, serve uno sforzo collettivo di tutta l’area euro per far crescere la fiducia attraverso un nuovo pacchetto di misure fiscali e la fine dell’austerity».
A Berlino era presente anche Benn Steil del potente Council in Foreign Relations statunitense, a detta del quale «la decisione della Germania di dire no a una ricapitalizzazione diretta delle banche da parte del fondo Esm significa che non ci sarà un back-stop in atto per evitare problemi che potrebbero insorgere dal fallimento di una o più banche negli stress test di fine anno. Non hanno capito la lezione chiave che arriva dagli stress test come fatti negli Usa, dove il governo garantisce riserve per assicurare la stabilità del sistema. C’è il potenziale per una nuova crisi se annunceranno gli stress test senza che ci sia la garanzia di una potenziale ricapitalizzazione delle banche da parte dell’Esm».
E per finire, la conferma – da fonte ben più autorevole del sottoscritto – di quanto vi dicevo tempo fa sul potenziale sbocco della crisi greca: «I surplus di budget di Grecia e Italia rischiano di diventare soltanto vittorie di Pirro. La storia, infatti, ci insegna che le nazioni pesantemente indebitate fanno più facilmente default quando hanno attraversato questa linea (quella dell’ottenimento dell’avanzo primario, ndr) e possono andare incontro alle spese di gestione statale day-by-day solo con le entrare fiscali. Nella mia opinione, questo è un buon momento per la Grecia di fare default».
Auguri a chi ha acquistato il bond greco a 5 anni. Soprattutto perché la giornata di ieri ci ha fornito tanti numeri ma solo uno davvero importante: 75. Ovvero, i chili di dinamite con cui era imbottita l’autobomba esplosa nel centro di Atene, vicino agli uffici del Fmi e del Tesoro e proprio alla vigilia della visita odierna di Angela Merkel. Continuiamo a scherzare col fuoco e, prima o poi, qualcuno si scotterà davvero.