GEO-POLITICA/ I miti da sfatare su Amber Rudd e referendum costituzionale

- Mauro Bottarelli

Si è parlato molto nei giorni scorsi della proposta di Amber Rudd riguardante le liste di lavoratori stranieri nel Regno Unito. Il commento di MAURO BOTTARELLI

Londra_Bus_BigBenR439 Immagini di repertorio (LaPresse)

Le ultime grida di dolore boldriniano si sono levate al termine del congresso del Partito conservatore britannico, tenutosi a Birmingham: cos’è accaduto? Il ministro degli Interni britannico, Amber Rudd, a margine dell’annuale convention ha lanciato la proposta da tutti definita shock: liste di proscrizione per tutti i lavoratori stranieri della Gran Bretagna. Una proposta talmente clamorosa da scatenare un’ondata di polemiche capace di oscurare persino l’evento chiave della giornata, il primo discorso di Theresa May in qualità di premier al congresso del partito. Immediatamente, il Partito laburista ha parlato di pericolosa xenofobia: ma è proprio così? Per il ministro, ovviamente no, si tratta solo di buon senso: i lavoratori e gli studenti stranieri nel Regno Unito sono troppi e tolgono posti, spazio e risorse ai cittadini britannici. 

Ecco le sue parole: «Per invertire la tendenza non basta, evidentemente, porre limiti all’immigrazione, come il Regno Unito si appresta a fare con il Brexit, ovvero uscendo dall’Unione europea e mettendo fine alla libertà di movimento dei lavoratori, anche pagando il prezzo dell’uscita dal mercato comune. Occorre qualcosa di più: “Svergognare” le aziende che, perlomeno nella visione del governo, privilegiano le assunzioni di stranieri. Per questo, l’obbligo di pubblicare “liste” per nazionalità, in modo che l’opinione pubblica sappia quanti britannici e quanti non britannici vi lavorano». Questo tipo di pressione, a detta della Rudd, spingerebbe le aziende ad assumere più lavoratori britannici e meno stranieri. 

Trattasi di pericoloso razzismo? Vediamo qualche dato, freschissimo. Ieri è stato pubblicato, infatti, il rapporto “Italiani nel mondo 2016” redatto dalla Fondazione Migrantes e sono parecchi i dati in esso contenuti che fanno riflettere. Primo, tra chi se ne va dall’Italia fanno irruzione i giovani che erano appena nati o adolescenti allo scoccare del Duemila, i cosiddetti millennials. Oggi che hanno tra i 18 e i 32 anni si trovano protagonisti dei nuovi flussi migratori, ma, a differenza della generazione precedente, rivendicano che non è una fuga, ma «una scelta per coltivare ambizioni e nutrire curiosità». Sarà, ma tra essere sfruttato con i voucher o con uno stage pagato 300 euro al mese e le 7,50 sterline l’ora garantite nel Regno Unito per i lavori più diffusi – ristorazione su tutti – direi che la scelta è presto fatta. 

E ancora, dal rapporto si scopre che la fascia anagrafica che va tra la maggiore età e i 34 anni è quella che è più soggetta all’emigrazione. Raccoglie infatti oltre un terzo degli italiani residenti all’estero ed è quella in cui si registra il picco di partenze anche nel 2015. E a seguire, nella graduatoria di chi è emigrato nell’ultimo anno, c’è la fascia appena superiore, che arriva ai 49 anni: sommandole, si scopre che le persone maggiorenni con meno di 50 anni costituiscono la metà degli italiani che hanno portato la residenza oltre confine da gennaio a dicembre 2015. «Il grave problema dell’Italia di oggi è proprio l’incapacità di evitare il depauperamento dei giovani e più preparati a favore di altri Paesi», commenta la Fondazione Migrantes nella premessa del rapporto. 

Nell’ultimo anno, 107.529 italiani hanno lasciato il Paese, diecimila in più rispetto all’anno prima. Aumenta poi la percentuale di chi parte per non tornare: il saldo migratorio tra chi rimpatria e chi parte, che era rimasto quasi costante nel primo decennio del millennio, sta subendo una brusca virata in negativo. E qual è una delle destinazioni predilette dai più giovani? Il Regno Unito, meta preferita per chi vuole studiare ma non solo, visto che conserva una capacità attrattiva anche per le altre fasce d’età, attestandosi al terzo posto nel conteggio della crescita annuale e al settimo posto complessivo nella graduatoria degli iscritti all’anagrafe degli italiani residenti all’estero, preceduto da Germania, Svizzera, Francia, Brasile e Belgio. 

Amber Rudd ha tutto questo torto, al netto che dopo il Brexit hanno il diritto di fregarsene delle normative europee e fare come vogliono? E qui stiamo parlando di ragazzi italiani che vanno nel Regno Unito a studiare o a lavorare con un buon grado di istruzione, ma avete idea il tipo di dumping salariale che ha creato in Gran Bretagna l’immigrazione di massa dai Paesi dell’Est, Polonia in testa? Cosa c’è di sbagliato nel voler dare una bella occhiata e magari scoprire un po’ di imprenditori che pur di risparmiare su salari, assumono manovalanza sottopagata e magari anche non in regola con i documenti? Cosa c’è di male per un governo nel voler tutelare prima i propri cittadini e poi gli altri? 

Certo, se la logica è quella che sta prendendo piede in Italia, ovvero una sorta di silenziosa ma inarrestabile sostituzione etnica tra giovani italiani che fuggono da un presente di sfruttamento e un futuro senza prospettive e immigrati economici che fanno la gioia di cooperative senza scrupoli, allora è giustissimo definire la Rudd una razzista. Voi però come chiamate chi costringe i giovani e, soprattutto, i meno giovani ad andarsene per disperazione da un Paese dove un lavoro appare un miraggio? Io una mezza idea su come definirlo ce l’ho, ma la tengo per me, tanto è facilmente intuibile. D’altronde, parliamo di un Paese il cui governo conteggia tra gli occupati anche chi lavora un’ora alla settimana, pur di spacciare il Jobs Act come un successo. Ma quella da condannare è la Rudd, non chi ha come unico interesse quello di vincere il referendum per tenersi la poltrona. 

E anche qui, al netto di gente come Benigni che non andrebbe nemmeno contemplata nel dibattuto pubblico, l’ondata di terrorismo preventivo in caso di vittoria del “No” vi pare normale? Piaccia o meno, tutta Europa sta alzando muri protettivi e protezionistici, c’è poco da fare, siamo soltanto noi a continuare indefessamente a subire un’invasione di cui pagheremo presto i costi sociali a prezzo pieno. Quattordicimila arrivi in due giorni non sono dati dall’emergenza siriana, ma unicamente da quella degli scafisti di massimizzare le partenze prima che il clima non renda più possibili le traversate e si debba ricorrere alle tratte via terra, ammesso e non concesso che regga l’accordo tra Ue e Turchia. Quanto ci vuole a fare come facemmo in Albania, ovvero inviare i servizi nei Paesi di partenza di concerto con le autorità locali a vigilare sul fatti che gli scafi vengano distrutti prima che partano? 

Ma si sa, 35 euro a migrante sono bei soldi per chi gestisce il business dell’accoglienza, un qualcosa che rende più della droga, come ci hanno fatto scoprire le intercettazioni di Mafia Capitale. E noi cosa facciamo? Andiamo avanti imperterriti, lasciando che un governo di incapaci affossi del tutto il Paese, mentre ci racconta che eliminando il Cnel vivremmo un secondo Rinascimento. Io non vorrei una Rudd, ne vorrei dieci alla guida della nazione. E non si tratta né di razzismo, né di egoismo: si tratta di sopravvivenza, perché la grande bugia della globalizzazione che ci avrebbe reso tutti più ricchi si è rivelata tale e pensare di risolvere il problema trattando gli uomini come si trattano le merci è criminale. 

Stiamo vivendo un momento storico senza precedenti e rischiamo di accorgerci a cosa siamo destinati quando sarà troppo tardi: parlare di ponti è molto chic ed ecumenico, ma a volte tocca alzare i muri. E avere il coraggio di dirlo, come ha fatto la Rudd. 





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