La demografa e docente presso l’Università Luiss Guido Carli di Roma Maria Rita Testa ha pubblicato sulle pagine del Sole 24 Ore una riflessione sulla denatalità. A suo avviso, infatti, mentre le donne hanno cambiato mentalità, portando ad una ‘evoluzione’ della famiglia tradizionalmente intesa, lo stesso non hanno fatto gli uomini. Circostanza questa che, secondo la demografa, ha contribuito alla diminuzione del tasso di fecondità.
Proprio da lì, d’altronde, parte il ragionamento della demografa sulla denatalità, ovvero dal fatto che “nel 2022 le donne italiane hanno avuto, in media, 1,18 figli. Nel 1995″, similmente, “il tasso di fecondità totale era pari a 1,19 figli” e contestualmente anche il fattore immigrazioni non ha contribuito, come molti speravano, ad “invertire la bassa fecondità”. Ma secondo la demografa, il fenomeno della denatalità “affonda le sue radici in una tendenza di lungo periodo durante cui l’Italia ha perso prima potenziali nati, poi anche potenziali madri”. Infatti, “il numero di donne in età riproduttiva è diminuito di un milione e mezzo” in vent’anni, e “nei prossimi anni la perdita continuerà” e, pertanto, per ragionare sulle “politiche a supporto della natalità” occorre, prima, capire “cosa sia cambiato nei comportanti riproduttivi“.
Maria Rita Testa: “Denatalità dovuta al cambio di mentalità delle donne”
Così, Testa, ragionando proprio sulle ragioni che si nascondono dietro alla denatalità e alla diminuzione della fecondità, la demografa torna agli anni ’90 quando il basso numero di figli per donne “era interpretato con il paradosso dato dalla combinazione di tradizione e ritardo“. Da un lato, infatti, le coppie erano molto ancorate alle tradizioni “nei comportamenti riproduttivi” e, pertanto, il ritardo era dovuto al “difficile accesso al mercato del lavoro”.
Ora, invece, la denatalità è mossa da un nuovo, e particolare, paradosso, costituito “dalla combinazione di modernità e ritardo”, dove il primo termine indica “la propensione delle donne per scelte alternative a quella di sposa tradizionalmente addetta al focolare domestico”. Dove sta il paradosso? Nel fatto che la “suddivisione dei compiti di cura tra i partner [è rimasta] sostanzialmente immutata, anche se non è più il matrimonio a sancire l’unione della coppia”. In altre parole, l’attuale denatalità, che non diminuisce nonostante le politiche attive, è dovuta al fatto che mentre le donne perseguono anche una carriera, a differenza di 30 anni fa, gli uomini si aspettano che siano loro ad occuparsi dei figli, portandole a preferire l’alternativa di non procreare. La conclusione della demografa è che “una politica a supporto della natalità per essere efficace” dovrebbe includere, oltre ai sussidi, anche politiche a favore “della casa, del lavoro e della parità di genere” perché “nella società del benessere un figlio arriva solo se, per entrambi i genitori, non è di ostacolo“.