Brinzio è un tranquillo paesino di 775 abitanti della provincia di Varese a poco più di dieci minuti d’auto dal capoluogo. Dal 1888 la scuola dell’infanzia “Vanini e Piccinelli” ha accolto e avviato all’istruzione migliaia di bambini, ma dal prossimo anno le porte resteranno chiuse: le iscrizioni si sono fermate a dieci mentre la legge prevede che per mantenere un asilo ce ne vogliono almeno quindici. Ma a Brinzio, come nel resto d’Italia e d’Europa, si nasce sempre di meno: lo scorso anno sono nati solo due bambini.
È questo solo un piccolo esempio dei grandi cambiamenti che già ora vengono imposti dal calo delle nascite, cambiamenti che coinvolgono il sistema dell’istruzione e che comportano la chiusura di classi e la riduzione del numero degli insegnanti.
La realtà sembra imporre un cambio di prospettiva nel considerare gli effetti della demografia. Fino a qualche tempo fa si guardava al calo delle nascite per le sue ricadute a lungo termine e suscitava più curiosità che allarme la sensibile riduzione della popolazione italiana che si sarebbe verificata a venti o cinquant’anni di distanza. Anzi, nella sensibilità comune ha continuato a lungo a prevalere la preoccupazione per sovrappopolazione considerata responsabile di fame, malattie e inquinamento.
In effetti tra un quarto di secolo, nel 2050, la popolazione sulla terra salirà da 6,5 a 9 miliardi di persone, ma l’incremento sarà tutt’altro che uniforme. Il Nord del mondo (Europa, Stati Uniti, Giappone, Australia e anche la Cina) ha cessato di crescere. Mentre nel 1950 la popolazione europea era tre volte quella dell’intera Africa; cento anni dopo, nel 2050, il rapporto sarà invertito.
In Italia il saldo naturale in Italia, ovvero la differenza tra nascite e morti, continua ad essere stato fortemente negativo: nel 2024 vi sono state 370mila nascite contro 651mila decessi. 281mila unità persone in meno, come se gli abitanti di Bari o Brescia scomparissero da un anno all’altro.
II problema demografico non è più un tema che riguarda solo il futuro. Già ora, non solo a Brinzio, se ne vedono gli effetti: nelle difficoltà economiche, nella stagnazione dei consumi, nel peso sui conti pubblici di previdenza e sanità.
Ma dobbiamo rassegnarci al declino scegliendo la strada dell’indifferenza? O c’è ancora spazio per tornare a crescere? Con l’ottimismo della volontà che contraddistingue ogni vero imprenditore Michele Tronconi offre una risposta documentata in un libro dal titolo significativo: “Demografia e destino” (Ed. Guerini e associati, pagg. 180, € 19,50). Un libro in cui non si azzardano soluzioni facili, ma si indica realisticamente un cammino fatto di scelte personali e politiche per affrontare un tema che ha tanti aspetti: storici, culturali, sociali, economici.
“L’economia – sottolinea Tronconi – dipende dalle nostre scelte e su tale fronte abbiamo il dovere di scegliere in modo che aumenti il tasso di occupazione reclutando più giovani, più donne, più immigrati integrati e andando in pensione più tardi. Rimpolpare la natalità sarà una conseguenza”.
Il tema dell’occupazione è quindi in primo piano, occupazione soprattutto femminile perché l’esperienza di molti Paesi dimostra che più donne lavorano, più figli nascono. Ma anche occupazione dei meno giovani perché innalzare l’età pensionabile e aprire spazi flessibili agli anziani non vuol dire “prolungare la fatica”, ma vuol dire non disperdere risorse umane e dare la possibilità di mantenere più a lungo in forma il corpo e la mente.
Sarà quasi impossibile tornare ai tassi di natalità del passato. Ma l’inverno demografico non è imposto dal destino. Non si possono attendere miracoli dalla politica, che comunque ha grandi responsabilità, ma si possono comunque puntare molte carte, evidenzia Tronconi, sulla vitalità dei corpi intermedi che, proprio in un’ottica di sussidiarietà, possono (e dovrebbero) fare molto a livello sociale e culturale.
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