Se si trattasse del segretario del Pd, si sarebbe tentati dal dire: “Non l’hanno visto arrivare”. Ma non si tratta di Elly Schlein, si tratta del nuovo papa, successore di Pietro e – più direttamente – di Papa Francesco. Il nome di Robert Francis Prevost ha spiazzato i più, ma non tutti, anche perché nelle sue ore le sue quotazioni sono cresciute vertiginosamente.
Per capire cosa sia effettivamente accaduto al cospetto del Giudizio Universale di Michelangelo ci vorrà un po’. Perché il segreto del conclave è un relitto del passato, e delle ultime assise per eleggere i pontefici nel giro di qualche settimana abbiamo saputo tutto, o quasi. Dunque potrebbe essere solo questione di tempo.
Quel che oggi possiamo dire con certezza è che, poco dopo la fumata nera di mezzogiorno, qualche spiffero dalla Sistina deve essere uscito, visto che in un lampo si è diffusa la voce che fosse in corso un testa a testa fra il segretario di Stato uscente, Pietro Parolin, e lo statunitense Prevost. In tv lo ha detto apertamente il vaticanista di Rainews, don Filippo Di Giacomo, che evidentemente aveva ottime fonti cui attingere. Sino all’ultimo, però, si è immaginato che fra i due il favorito fosse il cardinale veneto.
Quando il protodiacono Dominique Mamberti si è affacciato alla Loggia delle Benedizioni, tutti si aspettavano che fosse “Petrus” il nome di battesimo dell’eletto. “Robertus Franciscus” è stata una sorpresa. Eppure, se si fossero letti i curricula dei cardinali, quello di Prevost sarebbe spiccato come uno dei più variegati e rilevanti. Un frate, un missionario, oltre vent’anni di Perù alle spalle, ma anche studi a Roma, la guida di un dicastero, la vicinanza a Papa Francesco, senza essere identificato e identificabile con lui. Curiale, ma non troppo, e tutt’altro che vicino a Trump.
Un curriculum che gli ha consentito – con ogni probabilità – di coagulare consensi diversi. Quelli nordamericani, ma anche (anzi, soprattutto) del Sudamerica orfano di Bergoglio, di sicuro. A loro sono andati a sommarsi i “bergogliani moderati” di tutti i continenti, convinti della opportunità di non ribaltare, ma correggere alcuni aspetti dello stile di governo del pontefice scomparso venti giorni fa. Anche il richiamo al modello sinodale deve essere stato molto apprezzato, con la speranza che sia vero e non di facciata. Del resto, si tratta della piena attuazione del Concilio Vaticano II.
È probabile che Parolin sia partito in vantaggio, ma che nel secondo e terzo scrutinio non ci sia stata quella crescita necessaria a far decollare la candidatura. È facile immaginare che il nome di Prevost abbia ben presto compiuto il sorpasso. E a quel punto il primo a fare il passo indietro sia stato lo stesso segretario di Stato di Papa Francesco. Lui, per quanto moderato, sarebbe stato visto in eccessiva continuità con il pontefice che aveva servito da segretario di Stato.
Prevost ha saputo unire i due Occidenti, senza sconti. E l’idea di dare un altolà a Trump potrebbe aver avuto il suo peso. L’inquilino della Casa Bianca è avvisato, i cattolici a stelle e strisce (e non solo loro) saranno interrogati da papa Leone a rivedere la loro scala di valori, su cui non sono ammessi sconti.
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