Vai ospite a casa di qualcuno e meno che mai ti metti a criticare l’arredamento e la cucina. Giuseppe Conte, da uomo di mondo, arriva alla sua prima Festa dell’Unità ed è tutto un inno all’alleanza con il Pd che regge il Governo. «Ci stiamo amalgamando sempre di più e stiamo lavorando sempre meglio». «Stiamo vivendo un’esperienza di governo che sta ottenendo risultati mai raggiunti prima in un contesto internazionale difficile». «Credo che da esperienze positive che si consolidano negli anni possano nascere prospettive più durature, non voglio dire organiche». «C’è un centrodestra unito. Presentarsi in modo sparpagliato significa presentarsi in modo impari». Ecco un estratto del Conte pensiero davanti a un’impavida rappresentanza di militanti Pd a Modena.
E poi c’è la questione delle questioni: la gestione dei fondi europei. Nicola Zingaretti rischia grosso se alle regionali finisse 4-2 per il centrodestra (come i sondaggisti lasciano intendere), ma Conte no. Lui serenamente scavallerà il 21 settembre: il Sì dovrebbe nettamente prevalere al referendum sul taglio dei parlamentari. Ma soprattutto il Premier sa bene che paradossalmente una vittoria del centrodestra rappresenta per lui una polizza vita: Bruxelles non permetterà mai che i sovranisti si avvicinino ulteriormente a palazzo Chigi. Quindi il traguardo di Conte è la Legge di bilancio. Questa è la vera prova del nove per la maggioranza, l’occasione in cui si chiarirà quali soldi arriveranno dall’Europa, quanti, e in che forma: Mes sanitario o Recovery Fund.
Prima dell’intervento di Conte alla Festa dell’Unità, Zingaretti aveva detto che «trovare una mediazione sul Mes tra Pd e M5s è uno di quei compiti che riguardano il presidente del Consiglio». Sembra di tornare ai tempi di Salvini e Di Maio che battibeccavano da vicepremier per costringere poi l’avvocato del popolo a trovare una composizione amichevole. Ora però la questione è più grave: Pd e M5s sono su posizioni contrapposte e l’Italia è senza soldi, difficile fare a meno dei finanziamenti europei nonostante che i grillini oppongano un «no» senza riserve. Di quei soldi il bilancio dello Stato non può fare a meno e il Pd, garante dell’Europa in Italia, ha preso impegni con Bruxelles attraverso il commissario Gentiloni e il ministro Gualtieri. Conte lo sa.
«Se ci sarà bisogno dei soldi del Meccanismo di stabilità, lo valuteremo assieme e proporrò una soluzione al Parlamento. Esamineremo nel dibattito parlamentare, in massima trasparenza, i regolamenti legati al Mes», ha detto. Certo, le porte sono aperte anche al Recovery fund: l’Italia è in ritardo gravissimo nel presentare i progetti relativi ai finanziamenti, ma per Conte siamo perfettamente nei tempi. Perché ci sarà il Mes a fare da ponte finché quei fondi non saranno sbloccati.
Ma il M5s non è sulla lunghezza d’onda del Premier. «Per noi il Mes così com’è adesso non va bene», ha detto il capo politico Vito Crimi. E Luigi Di Maio gli ha fatto eco: «Stiamo pensando al Recovery fund, non al Mes», ha detto. Conte si barcamena tra le due sponde opposte del fiume in cui naviga. Da un lato il Pd garante della stabilità e teso a consolidarsi come primo interlocutore delle cancellerie europee, dall’altro il M5s che intende inaugurare una pseudo stagione riformista cavalcando il referendum. Ma finora il Pd non ha fatto altro che portare acqua al mulino grillino e al suo proclama anti-casta sintetizzato dal Sì, nonostante le resistenze di personaggi di spicco, da Prodi a Gentiloni.
Il 21 settembre ci sarà finalmente una conta dei voti e si capirà meglio se i complimenti fatti da Conte all’ospitalità di Modena e le aperture sul Mes sono stati di pura circostanza.
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