La Russia sfodera l’arma del grano. Mosca ha deciso, infatti, di non rinnovare l’accordo che permetteva il transito in sicurezza delle navi nel Mar Nero per trasportare prodotti agricoli ucraini. La motivazione ufficiale è la mancata applicazione di un’intesa, legata a quella del grano, che permetteva la commercializzazione dei fertilizzanti russi. Ma vale anche la constatazione che la maggior parte dei carichi alimentari autorizzati a passare nonostante la guerra finivano a Cina Popolare e Turchia (due autarchie comunque vicine a Mosca) e solo in parte minore ad altri Paesi, compresi quelli emergenti e più poveri. A influire sul niet russo ci sarebbe stato anche l’attacco da parte delle forze di Kiev, proprio nei giorni di scadenza dell’accordo sul grano, al ponte di Kerch che collega con la Crimea.
Un’incursione che ha contrariato non poco Mosca, contribuendo probabilmente ad alzare ulteriormente la tensione. Non per niente i russi avrebbero rivendicato un attacco al porto di Odessa, da cui partono le navi con il grano, proprio come ritorsione all’azione che ha preso di mira il ponte. Intanto, spiega Giuseppe Morabito, Generale con al suo attivo diverse missioni all’estero, membro fondatore dell’Igsda e del Collegio dei Direttori della Nato Defense College Foundation, in attesa di vedere se esiste la possibilità di sbloccare la situazione, si fanno strada alcune possibili alternative per mettere mano a una vicenda che potrebbe aggravare la situazione economica e sociale in alcuni Paesi dell’Africa e dell’Asia e creare le condizioni per un aumento dei flussi migratori. Il grano potrebbe essere trasportato via terra, ma i costi aumenterebbero del 20%, oppure si potrebbe ricorrere al grano Usa, qualora disponibile, ma non risolvendo il problema dei mancati introiti per Kiev.
Generale, perché i russi questa volta hanno detto no al rinnovo dell’accordo sul grano?
Secondo l’interpretazione russa per due motivi. Gli accordi firmati un anno fa erano due, uno riguardava la vendita del grano e uno i fertilizzanti provenienti dalla Russia. Il primo è stato applicato, il secondo, a causa dell’embargo, a detta di Mosca, non è stato rispettato. La maggior parte del grano ucraino, però, va in Cina Popolare e in Turchia. Gli interessi turchi li conosciamo: la maggior parte delle navi che trasportano il grano sono turche oppure, battendo bandiera di altri Paesi, di armatori turchi. La Turchia ci guadagna perché controlla il mercato e i destinatari. Erdogan lo scorso anno era interessato a rinnovare l’accordo solo per questo motivo e credo possa darsi nuovamente da fare in tal senso. Sta di fatto che il grano va per la maggior parte in queste due direzioni. Quello che raggiunge i Paesi che ne hanno più bisogno è molto meno. Di fronte a questo quadro, forse, a parere dei russi, verrebbero anche meno le motivazioni umanitarie che avevano spinto a consentire il passaggio delle navi mercantili.
Però l’80% del grano utilizzato l’anno scorso dal World Food Programme dell’Onu per venire incontro alle esigenze di cibo di diverse nazioni tra l’Africa e il Medioriente, tra cui Afghanistan, Sudan, Somalia, Yemen, sarebbe proprio di provenienza ucraina. Non conta questo aspetto?
Ma è una minima parte di quello che esce dall’Ucraina, quantità minori di quelle che vanno in Cina Popolare e Turchia. I russi giustificherebbero la sospensione dell’accordo perché, secondo alcuni fonti, il grano non viene utilizzato per motivi umanitari, ma rivenduto dalla Turchia e comprato dalla Cina Popolare. Al là delle alleanze strategiche con Ankara e Pechino i russi potrebbero farsi forti di questo.
Intanto a Odessa i russi hanno bombardato anche il porto. Un obiettivo non casuale, colpito anche per ritorsione all’azione degli ucraini contro il ponte di Kerch che collega con la Crimea. Quanto ha pesato quest’ultimo attacco sulla decisione di non rinnovare l’accordo per il grano?
Con il bombardamento di Odessa i russi hanno cercato di colpire l’avversario dove ha un interesse economico importante, per far intendere che , comunque, il grano ucraino non si può vendere senza Mosca. Per Kiev è un bel danno. Sospendendo l’accordo si ritroverà con i silos pieni e dovrà fermare anche la produzione, perché non avrà spazi per stoccare il grano raccolto. L’azione ucraina relativa al ponte di Kerch, avvenuta proprio nei giorni in cui scadeva l’accordo, è stata percepita come una provocazione che ha fatto saltare i nervi ai russi. Forse si poteva cercare prima di rinnovare l’intesa, spostando l’attacco ai giorni successivi. Quello degli ucraini è stato forse un errore strategico: hanno attaccato una struttura senza che questo possa mettere in difficoltà la logistica difensiva russa, potevano farlo anche dopo se lo ritenevano importante.
Ma i russi potrebbero tornare sui loro passi?
Bisognerà vedere cosa succederà quando, mi auguro, si comincerà a discutere con l’Onu. Bisognerà andare a trattare. La Russia cercherà di ottenere qualche vantaggio.
Secondo alcune fonti Mosca vorrebbe che la sua banca agricola, la Rosselkhozbanck, fosse riammessa nel circuito Swift. Potrebbe essere questa una delle richieste?
Potrebbe. Ma potrebbero anche chiedere che gli azeri liberino il corridoio di Lacin che collega il Nagorno Karabakh all’Armenia, un Paese loro amico, dove sono presenti forze russe di interposizione; che la Turchia stessa abbia un occhio di riguardo per la stessa Armenia oppure che non venga più colpito il ponte di Kerch pena la sospensione immediata dell’accordo. Oppure, ancora, avere rassicurazioni concrete sulla commercializzazione di fertilizzanti e ammoniaca russi. Sono ipotesi. Comunque vogliono ricontrattare a condizioni più favorevoli, applicando quella parte di accordo che, secondo loro, finora è stata disattesa.
Senza l’accordo molti Paesi in situazioni economiche critiche vedrebbero mancare una parte importante del loro sostentamento. Tra i destinatari del grano ucraino ci sono Bangladesh, Egitto, la stessa Tunisia che in questi giorni ha firmato un memorandum di assistenza con la Ue. Vuol dire che in questi Paesi scarseggeranno i cereali con ripercussioni anche sui flussi migratori?
È corretto. Non dimentichiamoci che uno dei fattori scatenanti della primavera araba è stato l’aumento del grano e dei cereali in Tunisia. A breve e medio termine la mancata firma dell’accordo potrebbe anche avere un effetto sui flussi migratori. Tanto è vero che il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha detto subito che, se il blocco non si risolve, bisogna trovare una soluzione alternativa, che potrebbe essere l’invio di grano di produzione Usa, aumentando la produzione o destinando ai Paesi più bisognosi una quota del grano americano.
Se il grano, invece, dovesse essere spostato via terra potrebbe esserci un aumento dei costi del 20%. Quali effetti avrebbe sull’economia anche europea?
Se si esclude che ci sia una “scorta” militare delle navi che trasportano cereali nel Mar Nero, cosa impensabile perché porterebbe a uno scontro con la marina russa, è indubbio che ci sarà un aumento dei costi qualsiasi sia la movimentazione. Per il trasporto ci potrebbe essere una soluzione fluviale via Danubio, ma è minimale, mentre non ci sono importanti linee ferroviarie che consentano questi trasporti verso l’Europa. Comunque, se arrivasse lì il grano dovrebbe essere messo sulle navi a Trieste o Amburgo e portato a destinazione. Aumenta il tempo di percorrenza e di consegna: così i costi lievitano. Un aumento del prezzo potrebbe sicuramente anche incidere sull’inflazione. Temo che bisognerà trattare con l’aggressore.
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