Dopo la firma del patto di sicurezza trilaterale fra Australia, Regno Unito e Stati Uniti (Aukus, acronimo dei nomi dei tre paesi firmatari) si è velocemente diradata la nube di retorica che si era alzata dopo il ritiro americano da Kabul che aveva sancito la fine dell’Impero americano.
Nei giorni che hanno seguito i fatti di Kabul parlammo di un cambiamento della vocazione imperiale americana che si andava sostanziando come una rinuncia a svolgere una funzione egemonica e come il tentativo di esercitare una forma di dominio, nel senso weberiano, nelle aree strategicamente più rilevanti per la competizione globale. In definitiva in questa fase, gli Usa non sembrano più interessati a esportare modelli culturali, ma piuttosto a utilizzare a proprio vantaggio i rapporti di forza senza andare troppo per il sottile.
In quest’ottica l’Aukus sembra essere un tassello fondamentale di una strategia che punta a definire nuove architetture a livello regionale costruite in modo flessibile e su singole questioni di rilevanza tattica. In un certo senso è questa la vera eredità che lascia Trump all’amministrazione Biden, ovvero la tendenza a stabilire, in questa fase fluida e di radicale incertezza, accordi e alleanze in modo unilaterale attraverso una continua riconfigurazione della costellazione dei rapporti di potere e con riassestamenti tattici in continua evoluzione.
L’Aukus, che ha una valenza soprattutto militare – che in questo momento si sostanzia prevalentemente nel supporto alla Royal Australian Navy nell’allestimento di una flotta di sottomarini a propulsione nucleare, si aggiunge all’alleanza informale Quad e a quella forse più importante, la Five Eyes, che riguarda l’intelligence -, segna una generale riconfigurazione dell’anglosfera ormai orientata sull’Indo-Pacifico, su un impegno organico e pieno dell’Australia nel contenimento cinese e il ritrovato protagonismo della Gran Bretagna, che in modo troppo semplicistico era stato giudicato velleitario da molti commentatori.
A tal proposito va ricordato che l’Aukus è stato anticipato alla vigilia del G-7 tenuto nel Regno Unito dalla firma di una nuova Carta atlantica che riprendeva in modo simbolico quella del 1941, nata su iniziativa di Franklin Roosevelt e Winston Churchill. Se è vero che Gran Bretagna e Australia mantengono un rapporto sostanzialmente ancillare nei confronti degli Usa, gli Stati Uniti, nel momento in cui iniziano a fare sul serio nei confronti della Cina nella difesa di Taiwan, guardano ai loro alleati storici, stringendo con loro rapporti privilegiati ed esclusivi a cui non possono rinunciare.
Un quadro in cui l’Europa risulta assolutamente irrilevante e incapace di superare la fase che ha seguito la Brexit. Le dure esternazioni del presidente Macron, che hanno seguito la stipula del patto Aukus, palesano l’incapacità dell’Europa di farsi sentire con un’unica voce e la sua inadeguatezza nel giocare un ruolo da protagonista nei teatri che realmente contano. E’ difficile immaginare che il disappunto francese eccederà dai gesti puramente simbolici come l’irrituale ritiro degli ambasciatori dalle sedi di Washington e Canberra o le roventi esternazioni, che va ricordato non sono una novità francese, nei confronti della Nato, quanto piuttosto è più agevole ipotizzare che gli europei nei confronti degli Usa procederanno in ordine sparso e in base agli interessi del momento e alle necessità contingenti, mentre gli americani continueranno a utilizzare a proprio vantaggio, aggravando quando è il caso, le divisioni fra i paesi dell’Ue.
A guardar bene sembra che l’occasione di una strategia globale comune gli europei l’abbiano persa proprio dopo il ritiro da Kabul, in cui hanno definitivamente rinunciato a “sostituire” gli Usa come soggetto geopolitico in grado di garantire una qualche forma di ordine regionale. Il futuro probabilmente ci consegnerà un quadro in cui i singoli paesi dell’Ue contratteranno singolarmente con gli Usa il proprio ruolo geopolitico, in un contesto in cui giocheranno un ruolo decisivo le alleanze regionali.
Sul versante cinese l’Aukus rappresenta una chiara minaccia, ma, al netto dei toni propagandistici e minacciosi, ciò che va registrata e la richiesta del governo di Pechino di aderire all’Accordo progressivo e comprensivo per il partenariato transpacifico (Cptpp) che segue immediatamente l’accordo che ha dato vita all’Aukus.
Il Cptpp è la forma più recente del Partenariato Trans-Pacifico (Tpp) da cui gli Usa si ritirarono per volere di Trump, e per i cinesi rappresenta un tentativo di rompere l’accerchiamento messo in opera dalla strategia americana. Un tentativo che fa leva sull’arma del commercio, ma che rappresenta un rischio per i cinesi, perché l’adesione al Cptpp implica standard qualitativi generalmente non rispettati dalle merci cinesi e al contempo rappresenta il ripensamento di una strategia che ha puntato a sostituire nell’area l’egemonia americana con la propria, piuttosto che creare relazioni multipolari basate sullo scambio reciproco di convenienze.
La strategia cinese, come acutamente ha fatto osservare Rana Mitter su The Guardian, potrebbe far rientrare gli Usa nel Trattato Trans-Pacifico, creando una situazione in cui le maggiori economie del pianeta tornerebbero a intrecciare le loro relazioni commerciali, mentre sul piano militare minacciano in modo sempre più deciso un’escalation per il futuro di Taiwan. Una situazione che al momento gioverebbe agli Usa e ai suoi alleati di lingua inglese, mentre gli altri si dovranno accontentare di giocare un ruolo nei contesti regionali su cui verterà il futuro ordine mondiale.
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