Se un governo di centrodestra fosse arrivato ad approvare la legge di bilancio nelle condizioni in cui vi approda il Conte 2, sarebbe scoppiato un finimondo di accuse di pressappochismo e inadeguatezza. La manovra è passata con la fiducia, e fin qui nessuna novità, ma è approdata in Parlamento all’ultimo minuto, blindata, senza possibilità di apportare modifiche pena il capestro dell’esercizio provvisorio. L’aspetto più sconcertante è che però il testo è accompagnato da un decreto “milleproroghe” approvato “salvo intese”: significa che il contenuto sarà oggetto di ulteriori modifiche su cui i partiti di maggioranza continueranno a scannarsi per settimane.
Il clima da Vietnam si è visto ieri. Mentre il Parlamento votava la fiducia in un clima prenatalizio, con le aule piene delle valigie di chi era in partenza, a Palazzo Chigi l’orario del Consiglio dei ministri è cambiato quattro volte in poche ore. La guerriglia renziana ha colpito sul finanziamento del disavanzo in Sicilia e sulle concessioni autostradali. Non si intravede una tregua allo scontro interno, che serve soprattutto a Italia viva per dare segnali del proprio stato di salute. Renzi è vivo e lotta insieme al governo giallorosso.
Il braccio di ferro è sulle misure da adottare, non sull’esecutivo, che pure mostra una debolezza addirittura imbarazzante, ma non fino al punto di cadere. Luigi Di Maio lo ha fatto capire quando ha dato via libera al processo contro Matteo Salvini. Mentre nel caso della nave Diciotti il M5s interpellò la base sulla piattaforma Rousseau, stavolta nel caso della nave Gregoretti la decisione del leader politico 5 Stelle è arrivata diretta, senza le mediazioni della “democrazia diretta”. Di Maio si muove in linea con il volere di Beppe Grillo, che ha chiesto di consolidare l’asse con il Pd. Un segnale al quale ha prontamente replicato il segretario del Pd Nicola Zingaretti, che in un’intervista al Corriere della Sera ha definito il premier Conte “un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste”.
Non è dunque la manovra il vero banco di prova per la tenuta dell’esecutivo, nonostante i mal di pancia interni al Movimento 5 Stelle. Tre parlamentari hanno già dato l’addio mentre il senatore Gianluigi Paragone medita di formare una sua componente. Probabile che si tratti di numeri non in grado di minare alla base le fondamenta dell’esecutivo giallorosso. Per capire se veramente il Conte 2 avrà un futuro bisogna guardare ad alcune scadenze di gennaio. Sono quattro le date che rappresentano altrettanti tornanti per la vita del governo.
Entro il 12 gennaio la Cassazione dovrà convalidare le 64 firme raccolte in Senato per il referendum confermativo della riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari: probabilmente la consultazione popolare confermerà il voto parlamentare, ma essa consente di prolungare a tutta la primavera il periodo in cui andare a votare con il vecchio sistema. Il 15 gennaio la Consulta si pronuncerà su un altro referendum, quello chiesto dalla Lega sull’abolizione della quota proporzionale nell’attuale lette elettorale. Un referendum temutissimo dalle formazioni più piccole: in questo case potrebbero essere loro, dai renziani ai berlusconiani fino anche ai 5 Stelle, a spingere per votare subito con il Rosatellum. Il 20 gennaio il Parlamento si pronuncia sul processo a Salvini e quello sarà sia il banco di prova per l’asse M5s-Pd sia l’occasione per i dissidenti grillini di uscire allo scoperto una volta per tutte. Infine, il 26 si vota in Emilia-Romagna e Calabria: se il centrodestra segnasse una doppietta, probabilmente sarebbe il requiem per il governo giallorosso.
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