A Firenze si è aperto ieri il primo congresso nazionale della Lega. A iniziare le danze un video emozionale che ha ripercorso la storia del movimento, dall’era Bossi, passando per Bobo Maroni fino a Matteo Salvini. Momenti temporalmente distanti, epoche e leader differenti, ma un filo rosso che ha tenuto insieme tutto e che non si è mai spezzato: la battaglia per la libertà, il coraggio di difendere un ideale contro tutto e tutti. Questa è la cifra comune della storia della Lega, quell’identità che è costata tanto, forse troppo, in termini di attacchi, inchieste e processi… ma per dirla come Giancarlo Giorgetti, “non c’è felicità senza libertà”.
E ieri, quello della Lega era un popolo gioioso, fiero della propria appartenenza e voglioso di guardare avanti, insieme, verso la prossima battaglia. Un ritrovo tra amici, una comunità, più che un classico congresso di partito. Uno scenario da marziani, per chi magari ha vissuto congressi democristiani.
Qualche giornale ha sperato fino all’ultimo in un “incidente”, in qualche fischio dalla platea, nell’assenza di qualche leader storico in segno di protesta. E invece c’erano proprio tutti, in primis proprio gli Zaia, i Giorgetti e i Fedriga che in questi ultimi tre anni sono stati indicati, a turno, come i nemici giurati e i possibili sostituti di Salvini.
Non è mancata la franchezza, il confronto: Massimiliano Fedriga ha detto chiaramente che non è mai stato un sostenitore di Salvini, che non lo sostenne nella prima elezione (cosa risaputa) ma ha aggiunto un particolare. Dopo quel congresso da oppositore, Salvini lo nominò capogruppo alla Camera e quello fu il trampolino per poi arrivare a fare il governatore del Friuli. “Se oggi sono quello che sono lo devo anche a Matteo”, ha concluso Fedriga dando il proprio appoggio alla rielezione del segretario.
Attesissimo anche l’intervento di Luca Zaia, uno dei più applauditi in sala. Il presidente del Veneto senza giri di parole ha fatto i conti in tasca a Salvini, una sorta di bilancio/pagellino: “Hai preso in mano il partito che era morto, diciamocelo, e lo hai fatto rinascere. E oggi se siamo qui ti dobbiamo ringraziare”. E poi, ancora, per far tacere le solite polemiche: “Voi giornalisti mi chiedete sempre della mia Lega, se questa è la mia Lega: e io vi rispondo che la Lega è la Lega, che ovviamente la Lega di 10 anni fa non è quella di oggi e quella che ci sarà tra 10 anni sarà ancora diversa”. Un “reset” generale su polemiche, divisioni o presunte scissioni (giornalistiche).
Anche i mal di pancia (di molti “ex” e di qualche militante) contro la Lega “nazionale” sembrano ormai superati in nome dell’autonomia, un principio voluto fortemente dal Nord ma che oggi sta diventando un’occasione di crescita, di sviluppo e responsabilità anche per il Sud. Come hanno spiegato il ministro Calderoli e i presidenti Fontana e Fugatti la partita dell’autonomia non e’ ancora chiusa e sarà molto lunga. Ma siamo a un punto di non ritorno. Per chiudere questo capitolo un simpatico “mea culpa” del vicesegretario Crippa, monzese: “in passato sostenevo che il problema del Sud fossero i meridionali, oggi penso che il problema del Sud sono i politici meridionali che non hanno mai fatto nulla per il loro territorio”.
Una Lega “nazionale” unita dalla lotta al centralismo romano ma anche una Lega “europea” che si batte contro le euro-follie di Bruxelles.
Oggi il partito di Salvini non e’ piu’ isolato a livello internazionale ma si trova in Ue protagonista del Gruppo dei Patrioti, al fianco di Orban e della Le Pen, e in prima fila nel rapporto con gli Usa di Trump. A testimoniarlo la sopresa del collegamento con Elon Musk intervistato da Salvini. Al centro del dialogo con il leader americano la piattaforma programmatica della Lega: pace in Ucraina, lotta all’Immigrazione, liberta’ di espressione, identita’, sicurezza, sviluppo economico e Dazi (auspicando che tornino a zero). Repubblica e soci sono riusciti a mistificare anche l’intervento di Musk che pure aveva dato a noi giornalisti un bello scoop sui dazi…
Il congresso di Firenze consegnerà oggi una Lega più stabile, governativa, identitaria ed europea. Che non rinuncerà alle proprie battaglie. Una buona notizia anche per Giorgia Meloni e per il suo governo che ne esce rafforzato.