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Home » Politica » DIETRO LE QUINTE/ Meloni al Quirinale? Più facile alla Commissione Ue…

  • Politica

DIETRO LE QUINTE/ Meloni al Quirinale? Più facile alla Commissione Ue…

Stefano Bressani
Pubblicato 10 Ottobre 2025 - Aggiornato alle ore 06:38
Giorgia Meloni, presidente del Consiglio  (Ansa)

Giorgia Meloni, presidente del Consiglio (Ansa)

Si fanno ragionamenti (e provocazioni) sul prosieguo della legislatura. Sarà il fronte internazionale ad orientare le mosse della Meloni. Ecco come

Giorgia Meloni ha subito rintuzzato l’ennesima punzecchiatura giunta dall’opposizione sulle presunte aspirazioni a salire da Palazzo Chigi al Quirinale, magari con anticipo rispetto alla scadenza naturale del mandato di Sergio Mattarella, nel 2029. Al netto dell’esigenza tattica di rispondere al ballon d’essai lanciato da Matteo Renzi dal palco della Leopolda, appare però difficile che la premier senta l’urgenza di una exit strategy e che veda nel Quirinale la sua unica opzione “verso l’alto”.


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In uno scenario turbolento tutto può accadere, anche per il governo Meloni; ma sembra poco pronosticabile dal fronte interno, semmai più da quello internazionale, dove però eventuali colpi di scena difficilmente colpirebbero in modo chirurgico Palazzo Chigi.

E se in questo quadro terrà la variabile principale – la leadership di Donald Trump in Usa fino al 2028, prevedibilmente dopo cessate il fuoco a Gaza e in Ucraina – Meloni ha buone chance di concludere in carica una legislatura piena. Sarebbe una prima assoluta nella storia repubblicana, che si aggiungerebbe al primato di un premierato “rosa”.


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Meloni sembra poter essere difficilmente insensibile a un tale trofeo, che porterebbe naturalmente con sé una ricandidatura forte al voto 2027, con buone prospettive di vittoria bis. E una legislatura Meloni 2 aprirebbe alla premier piste non immediatamente orientate al Quirinale. O addirittura alternative.

Anzitutto: resta sul tappeto la riforma istituzionale del “premierato”. Può darsi che non riesca a concretizzarsi in questa legislatura: nel caso, potrebbe avvenire dopo una nuova vittoria elettorale del destra-centro. E un passaggio al premierato sposterebbe il centro di gravità della governance costituzionale italiana.


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Ma già nel 2029 – in coincidenza con la scadenza naturale per Mattarella – sono in programma nuove elezioni europee e il rinnovo della Commissione di Bruxelles. Ursula von der Leyen non potrà succedere a se stessa (nello stesso anno è fra l’altro in programma il voto politico in Germania).

Palazzo del Quirinale visto dal Palazzo della Consulta, sede della Corte Costituzionale, Roma, 29 Gennaio 2024. ANSA/GIUSEPPE LAMI

Se Meloni arrivasse ad allora – a quel punto con sette anni filati di premiership a Roma e un ruolo sempre più riconosciuto a Bruxelles, nella capitali europee e a Washington – sarebbe una candidata naturale alla presidenza della Commissione. Più di quanto fosse nel 1999 Romano Prodi, che aveva alle spalle un solo voto vinto e mezza legislatura a Palazzo Chigi, interrotta dal pressing a sinistra di Massimo D’Alema.

Di quella stagione – all’esordio della Seconda Repubblica – fu protagonista Mattarella: poi dal 2015 al Quirinale, già oggi presidente più longevo dal 1948 e avviato a essere l’unico a completare 14 anni di doppio mandato consecutivo.

La sua rielezione nel 2022 è stata frutto di una resistenza trasversale alla candidatura dell’allora premier istituzionale Mario Draghi (resistenza diffusa anche presso quegli ambienti politici, finanziari e mediatici che ne continuano a sbandierare oggi l’Agenda per la Ue).

L’ex giudice costituzionale Mattarella ha saputi scavalcare con abilità anche un argomento istituzionale potenzialmente insidioso. Il parlamento eletto nel 2022 era strutturalmente riformato (ridotto nel numero di deputati e senatori) rispetto a quello che pochi mesi prima aveva rieletto Mattarella e alcuni interpreti ipotizzavano la necessità/opportunità che il presidente si dimettesse e le Camere rimodellate ne rieleggessero uno nuovo.

Già nel 2019, ad ogni buon conto, Mattarella aveva confermato con il “ribaltone” lo stile semipresidenzialistico ibrido inaugurato da Napolitano nel 2011. Dal 2022 l’atteggiamento occhiuto e dialettico del Quirinale “dem” verso il ritorno di una maggioranza eletta di destra-centro è stato quotidiano: anche se gli effetti sono parsi ridotti. Ed è parso esemplare, in fondo, l’“incidente dei Santi” maturato mercoledì.

Il Quirinale ha promulgato la legge con cui il 4 ottobre, San Francesco, è stato rielevato a festività nazionale. Ma non ha mancato di criticare pubblicamente Camera e Senato. In una lettera ai presidenti dei due rami del Parlamento ha puntutamente eccepito la dimenticanza, nel provvedimento, di riferimenti a Santa Caterina da Siena, citata come patrona d’Italia nella legge originaria del 1958. Tutto questo è avvenuto cinque giorni dopo che la Cgil ha gettato il Paese nel caos con uno sciopero generale con finalità politiche, dichiarato subito illegittimo dal Garante e divenuto scintilla di violente azioni antagoniste in molte città italiane. Senza minimi segni di attenzione da parte del Quirinale.

Lo sguardo più che tacitamente benevolo del Quirinale verso le piazze pro-Pal ha incarnato una delle scommesse prime e principali dell’“opposizione ibrida” di Mattarella. Ha ottenuto un primo risultato accompagnando una vittoria non preventivata del centrosinistra in Sardegna, ma ha poi creato problemi a medio termine: prima con le contestazioni alla senatrice a vita Liliana Segre (l’unica da lui nominata), poi con il propagarsi nelle piazze di un violento antagonismo anti-israeliano, cavalcato anche dal Pd. Questo mentre il governo Meloni è rimasto sempre fedele a una linea realista, di appoggio agli sforzi mediatori di Trump fra Hamas e il governo Netanyahu. Scenario che infine si è realizzato con l’accordo raggiunto nelle ultime ore.

Lo stesso sembra avvenire sul versante cruciale del riarmo europeo anti-russo e pro-sicurezza ucraina. È la linea “occidentale” fatta propria del governo Meloni, che talora anche Mattarella si ritrova ad appoggiare. Lo farà anche oggi visitando la base Nato allestita dall’aeronautica militare italiana in Estonia.

Ma nessuno dimentica come il girotondo primaverile di Michele Serra – a pochi passi dal Quirinale – si sentisse vicino (ricambiato) all’europeismo “democratico” di Mattarella: non a quello di ReArm appena sfornato dalla Commissione von der Leyen.

Nel frattempo una forte sintonia ha legato fino all’ultimo il Capo dello Stato “cattodem” alla ferma contrarietà alla guerra di Papa Francesco. Non per questo si è sciolto il filo del “trattato d’amicizia” fra Mattarella e il presidente francese Emmanuel Macron, volenterosissimo di sostenere la resistenza bellica dell’Ucraina. Un altro momento di “opposizione ibrida” al governo Meloni, costantemente in cattive relazioni con l’Eliseo.

Non da ultimo: lo scontro frontale fra maggioranza di governo e magistratura sulla riforma della giustizia sembra rimbalzare in modo sempre più problematico sul Quirinale, che presiede anche il Csm con funzioni di stretta garanzia costituzionale.

E non sembrano certo agevolarlo iniziative giudiziarie come la richiesta di commissariamento per “caporalato” (in una filiera produttiva che ha segmenti esternalizzati presso laboratori a gestione cinese) per un grande nome del Made in Italy. Una prima istanza della Procura è già stata rigettata dal Tribunale. Il gruppo, sarà un caso, ha sede nelle Marche: regione in cui dieci giorni fa il centrosinistra ha subito una pesante débâcle elettorale.

Se l’altra sera battevate su Google “Tod’s.. caporalato.. sindacati” nella sezione notizie non trovavate nulla: il (presunto) caso di sfruttamento dei lavoratori denunciato dal pm sembrava non esistere per i sindacati. Se invece cercavate “Cgil” trovavate ampio rilancio delle dichiarazioni di giornata del segretario generale Maurizio Landini: “Di nuovo in sciopero il 25 ottobre per continuare le proteste per Gaza e per una patrimoniale da 26 miliardi”.

La “tassa Zucman” è la pretesa dei socialisti francesi, in queste ore, per sostenere Macron – il firmatario del Trattato del Quirinale del 2021 – sull’orlo di una rovinosa caduta.

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