I diritti umani universali al vaglio della ragione e dell’esperienza
Intorno al tema dei diritti umani si svolgono negli anni più recenti dibattiti almeno in parte contraddittori, in particolare su due nodi. Il primo riguarda una questione antropologica. Il secondo riguarda l’universalità dei diritti umani

Intorno al tema dei diritti umani si svolgono negli anni più recenti dibattiti almeno in parte contraddittori.
Da una parte, con insistenza crescente, singoli individui o gruppi organizzati avanzano richieste di tutela di “nuovi diritti”, quali aborto, eutanasia, matrimonio tra omosessuali, diritto alla procreazione, riconoscimento dell’identità “genere”, diritto ad ammalarsi, diritto a non nascere, diritti degli animali e così via.
I diritti umani fondamentali sono, dunque, teatro di nuove e in parte contraddittorie sfide. Sul piano giuridico si riscontra una forte accelerazione verso l’universalizzazione dei diritti fondamentali. Per altri aspetti però, paradossalmente, mai come oggi l’idea stessa dei diritti umani è stata posta radicalmente in discussione dalle critiche post-moderniste e relativiste.
La cultura multiculturalista non solo ha gettato un’ombra sulla possibilità stessa di riconoscere i diritti umani mettendone in discussione l’universalità, ma ha insinuato che i diritti umani costituiscono l’espressione pseudouniversale di ciò che in realtà nasconde una visione culturale parziale, tipicamente occidentale. I diritti umani sarebbero l’ultimo residuo dell’imperialismo occidentale che mortifica ogni espressione culturale non riconducibile a quella sviluppatasi sulle due sponde dell’Atlantico.
Due sono i nodi culturali che determinano queste spinte contraddittorie.
Il primo nodo riguarda una questione antropologica. I cd. “nuovi diritti” si alimentano di una concezione in cui l’uomo è ridotto a pura capacità di autodeterminazione, volontà e libera scelta. L’uomo è inteso come individuo sciolto da ogni relazionalità, sociale e trascendente, e la sua unica capacità di espressione è individuata nella libertà, a sua volta ridotta a mera facoltà di scegliere. È così che si arriva persino ad affermare il “diritto a non nascere” o il “diritto a darsi la morte”, il cui effetto è la negazione del soggetto stesso. Fuori da una concezione creaturale in cui l’uomo è diretto rapporto con l’infinito, non si dà dignità umana e i diritti, anziché costituire la massima valorizzazione della persona, aprono la strada al suo annientamento.
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