"Disegnare nuove mappe di speranza", lettera apostolica sull'educazione di Leone XIV: c'è molto di nuovo nell'approccio di Prevost, quasi tutto
Disegnare nuove mappe di speranza è la lettera apostolica che Papa Leone XIV ha consegnato alla Chiesa cattolica in occasione dell’anniversario della promulgazione di un documento prezioso del Concilio Vaticano II, Gravissimum educationis. Al centro sta appunto il tema dell’educazione ed è il primo intervento strutturale di Prevost sull’argomento.
Interessante, allora, è mettere in rilievo anzitutto le novità che una tale trattazione presenta, lasciando approfondimenti e sviluppi ad un secondo tempo e a commenti successivi. Si possono identificare sei elementi portanti nella lettera pontificia. In primo luogo il ricorso a linguaggi simbolici inediti per un papa. Costellazioni, coreografie e mappe di speranza sono locuzioni che indicano un tentativo forte di uscire dal gergo “ecclesialese” per offrire – in perfetto stile agostiniano – immagini di relazioni e di comunione alternative.
Poi, fatto non secondario, la lettera del papa individua nel cuore il luogo della conoscenza, superando – di fatto – l’abituale polarità tra fede e ragione. Anche in questo caso è Agostino a farla da padrone. Già citato nella Lumen Fidei – l’enciclica scritta da Benedetto XVI e pubblicata poi da Francesco –, il vescovo di Ippona definiva l’esperienza credente tangere corde, toccare con il cuore.
Un altro aspetto tutt’altro che marginale riguarda i temi. La presenza forte di una prima riflessione magisteriale sull’intelligenza artificiale riecheggia le prime parole che proprio Leone XIV usò per descrivere i motivi che lo portarono a scegliere il nome del pontefice della Rerum novarum: occuparsi della rivoluzione, ancora poco compresa, in cui l’intelligenza artificiale ci butta in tema di morale, libertà, umanità e coscienza.

Un quarto punto, inoltre, riguarda il richiamo fortissimo ad un’ecologia educativa. Qui Prevost riprende la Laudato si’, ma ne depotenzia il carattere sociale in favore di un input prettamente teologico: è il creato al centro della riflessione del papa, ed è il creato, insieme al digitale, che il successore di Pietro indica come tema centrale della questione educativa.
Le ultime due questioni riguardano lo stile ecclesiale dell’educazione – non si educa se non in una comunità – e il rapporto tra interiorità e comunità, quasi a ribadire che è la conversione personale che genera il soggetto educativo e non la formazione tecnica o pedagogica: c’è uno strano legame tra ciò che siamo dentro e ciò che costruiamo fuori ed è difficile prendersi cura di una di queste due dimensioni ignorando l’altra.
Siamo dunque di fronte ad una cassetta degli attrezzi completamente nuova, con la quale dovremo presto familiarizzare e che segna il passaggio definitivo dalla prima alla seconda parte di questo XXI secolo.
Si possono tuttavia trarre alcune interessanti conclusioni che ambiscano a diventare piste di lavoro per chi su questa lettera dovrà riflettere e operare: oggi educare significa trovare parole che tocchino il cuore, senza la preoccupazione dei risultati immediati, ma stabilendo una connessione che sia qualcosa di più di un legame emotivo: essa deve avere come posta in gioco le sfide del presente, quel digitale che ci rende disumani e quella mancanza di cura per la realtà che ci rende violenti.
Tutto questo chiede un contesto preciso, chiede un concepirsi “noi” insieme ad altri che riconosciamo nostri compagni di strada, nel tentativo continuo non di cambiare i ragazzi o di plasmarli, ma di cambiare noi.
Leone, insomma, ha sempre più chiaro che il cuore del processo educativo sta in mano all’adulto e alla realtà che l’adulto accetta come sfida per la propria umanità. Disegnare mappe di speranza non è dunque un motto o un’idea, ma il tentativo di non esser banali dinanzi al tesoro più prezioso che ci portiamo appresso: quell’Io che così ci spaventa, ma che – inevitabilmente – così ci stupisce.
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