In tempi di coronavirus è forse opportuno chiedersi quale sia lo stato di salute del paziente Italia anche dal punto di vista del mercato del lavoro. Ci aiutano, in questo quadro clinico, le analisi del “dottor” Istat pubblicate ieri dalle quali sembra che il malato fosse già un po’ febbricitante anche prima del virus con gli occhi a mandorla.
Si scopre, ad esempio, che rispetto al mese di dicembre 2019, a gennaio 2020 l’occupazione diminuisce, l’inattività cresce e il numero di disoccupati aumenta lievemente a fronte di un tasso di disoccupazione che rimane, anche grazie ai noti artifici statistici, stabile. In particolare, il numero di occupati diminuisce di 40 mila unità (-0,2% rispetto al mese precedente) e il tasso di occupazione si attesta al 59,1% (-0,1 punti percentuali).
La flessione dell’occupazione interessa, in maniera equa, sia uomini che donne, lavoratori dipendenti (-15 mila) e indipendenti (-25 mila) e tutte le fasce di età, a esclusione delle persone tra i 35 e i 49 anni (+13 mila).
Se, altresì, guardiamo la prospettiva con lo stesso mese dello scorso anno si deve sottolineare come, rispetto a gennaio 2019, vi sia una crescita dell’occupazione (+0,3%, pari a +76 mila unità) sostanzialmente generalizzata per genere e classe di età, con l’unica eccezione dei 35-49enni per effetto del loro, come noto, decrescente peso demografico. Aumentano, nel dettaglio, i lavoratori dipendenti (+156 mila unità), soprattutto permanenti (+112 mila), mentre gli occupati indipendenti diminuiscono di 80 mila unità.
Sembra, tuttavia, che l’effetto coronavirus colpirà (duramente?) il nostro tessuto produttivo tanto che si parla, con sempre maggiore insistenza, di ammortizzatori sociali e cassa integrazione. La “crisi” sanitaria che stiamo vivendo ha messo, allo stesso tempo, in evidenza come al nostro Paese manchino risorse umane in un settore cruciale per la nostra idea di società come quello della sanità (specialmente pubblica). Nel 2017 (ultimi dati pubblicati dal ministero), infatti, il numero dei dipendenti del Sistema sanitario nazionale era pari a 603.375 unità, di cui il 71,5% nel ruolo sanitario ed il 10,7% in quello amministrativo. Nello specifico poi nell’ambito del ruolo sanitario, il personale medico è costituito da 101.100 unità e quello infermieristico da 253.430 unità. In questo quadro il rapporto fra infermieri e medici, a livello nazionale, si attesta sul valore di 2,5 infermieri per ogni medico.
Numeri, questi, dopo quota 100, probabilmente ulteriormente ridotti. Insomma, una delle medicine per il paese per rialzarsi, il prima possibile, dagli effetti economici del coronavirus potrebbe essere quello di puntare, appunto, sui medici inserendo in un sistema, per molti aspetti un’eccellenza italiana, energie fresche e giovani in grado di aiutare a portare ulteriore qualità in un settore che si è dimostrato, ancora una volta, strategico per la tenuta del nostro sistema sociale costruito, con pazienza, negli ultimi decenni.