ieri Netanyahu ha dichiarato di non volersi fermare: Gaza dovrà essere rasa al suolo per togliere ai palestinesi un luogo dove tornare
Un mondo che da troppo tempo è sempre più in guerra e in frantumi ha visto crescere in questi giorni – quasi improvvisamente e davvero inaspettata – una possibilità di pace sui fronti ucraino e del Medio oriente, ma bisogna decidere alla svelta se far crescere il germoglio o schiacciarlo sotto la suola di uno scarpone.
Si è creata una finestra di potenziale dibattito sull’Ucraina, che si spera anche Putin raccolga, ma anche a Gaza – soprattutto per gli sforzi americani – si è aperta una possibilità di dialogo da non distruggere.
Purtroppo pare che Benjamin Netanyahu non l’abbia capito, oppure, forse proprio perché ne ha compreso le potenziali conseguenze, continua a martellare sia con le parole che con le bombe ogni tentativo non tanto di mediazione, ma almeno di tregua. “L’esercito israeliano entrerà a Gaza con tutta la sua forza nei prossimi giorni”, ha sostenuto solo poche ore fa, confermando che “non si vede uno scenario in cui possiamo fermare la guerra”. E per rincarare la dose, il leader israeliano insiste: “Un cessate il fuoco temporaneo potrebbe anche verificarsi, ma andremo fino in fondo”.
Che senso abbia insistere con questi toni (e con gli attacchi a Gaza anche ai pochi ospedali ancora funzionanti) non è chiaro. Certo è che contro di lui alla fine si indispongono tutti e non solo ogni possibile interlocutore arabo, ma anche Trump, l’Unione Europea, probabilmente anche la gran parte della stessa opinione pubblica israeliana.
Perché ormai “il re è nudo” e ci si rende conto così che forse, semplicemente, Netanyahu ha bisogno della guerra continua soprattutto per puntellarsi al potere, per tirare a campare nella (vana) speranza che in qualche modo la pace del cimitero lo incoroni vincitore.
Se infatti scoppiasse la pace – salvo un improbabile caso di vittoria militare folgorante e contemporaneamente d’immagine per Israele, ma è difficile dopo mesi di stallo – Netanyahu rischia di finire ai margini della politica e soprattutto nei guai giudiziari.
Intanto gran parte dell’opinione pubblica israeliana ha progressivamente capito che Israele può vincere forse una lunga battaglia, ma che alla lunga, continuando così, a vincere sarà solo l’odio; e che trattandosi di odiare, le future generazioni arabe, ovvero i miliziani arabi di domani, sono e saranno sempre infinitamente di più dei soldati israeliani e soprattutto avranno un motivo per lottare.
Con le sue scelte politiche Netanyahu è riuscito in un’impresa incredibile, distruggere la popolarità pressoché unanime di cui Israele ha goduto dopo l’attacco proditorio e criminale di Hamas del 7 Ottobre. Una situazione che ha portato anche gli amici di Israele a dover prendere le distanze dalla politica dello Stato ebraico, compromettendo in modo forse irreparabile l’immagine del Paese davanti al mondo.
Qualcuno potrà continuare anche a difenderlo, ma certo l’orrore di decine di migliaia di vittime civili e le immagini dei troppi innocenti che si trovano in mezzo al fuoco concentrico delle due parti alla fine sta portando tutti gli osservatori – anche quelli più vicini ad Israele – ad assistere sempre più sconcertati alle dichiarazioni di chi schiaccia con la violenza qualsiasi germoglio di pace.
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