DL SOSTEGNI TER/ Le nuove “briciole” che non fermano la crisi del turismo

- Alberto Beggiolini

Il Decreto sostegni ter stanzia risorse che non sembrano sufficienti a evitare grossi problemi alle aziende del turismo in grandi difficoltà

Massimo Garavaglia Massimo Garavaglia, ministro del Turismo (LaPresse)

La cassa Covid è una fenice che sopravvive all’estinzione. La Cig varata per affrontare l’emergenza lavorativa legata alla pandemia è terminata lo scorso dicembre e malgrado le richieste avanzate da vasti settori dell’economia italiana non sarà più prorogata. Ma una diversamente-Cig sta nascendo, dedicata alle imprese più in difficoltà, come il turismo. Si tratta del Fondo di integrazione salariale, il Fis (frutto della riforma degli ammortizzatori sociali), esteso anche alle micro imprese del terziario (anche con un solo dipendente), con un inedito sconto, che toglierebbe dagli oneri delle aziende il “contributo di finanziamento”, cioè il 4% della retribuzione persa (per la Cig a 52 settimane è del 9%), almeno fino alla fine dell’emergenza, che per ora resta fissata al 31 marzo.

Oltre alla quasi-Cig (che vale 80 milioni per l’anno in corso), il Consiglio dei ministri ha sdoganato ieri, con il nuovo dl sostegni che da molti giorni era al centro di infiniti tira e molla, anche una nuova dotazione (100 milioni, che si sommano ai 120 stanziati dalla Legge di bilancio) per il fondo unico per il turismo, e un nuovo credito d’imposta (al 60%) per i canoni d’affitto (misura che vale 128 milioni). “Ed è stata anche accolta la nostra richiesta di dedicare una quota (40 milioni) alla decontribuzione per i lavoratori stagionali del turismo e degli stabilimenti termali – ha detto il ministro Massimo Garavaglia -. Si poteva avere di più. Ma il meglio, talvolta, è nemico del bene. Ulteriori interventi verranno avviati con le risorse a disposizione del ministero”. 

Il nuovo decreto sostegni ter conterà su un totale di circa un miliardo e mezzo, da spartirsi tra turismo, trasporti, moda, spettacolo, commercio (seguendo il tabellario dei codici Ateco). Ma di quei 1.500 milioni, almeno 4-500 sono già ipotecati dalle amministrazioni regionali e comunali, quale prosieguo del fondo Covid varato due anni fa, a ristoro delle mancate entrate. Il residuo, insomma, si attesterà sul miliardo scarso, per tutti i comparti ricordati sopra. 

Tanto? Poco? Si direbbe incredibilmente poco, praticamente ridicolo, almeno dal punto di vista del turismo (ma è immaginabile che anche gli altri settori avranno qualcosa da dire). Va detto che difficilmente si sarebbe potuto rastrellare più risorse, visti i cospicui stanziamenti resisi necessari per calmierare le bollette energetiche (con l’abbattimento degli oneri di sistema nel primo trimestre e taglio del 20% come credito d’imposta per imprese energivore), e non volendo ancora aggredire i vincoli di bilancio che impongono una rigida spending review, almeno fino al prossimo scostamento sul quale tutti sembrano concordare ma al quale ancora nessuno ha deciso di porre mano. Se ne parlerà, probabilmente, solo dopo l’elezione del nuovo presidente della Repubblica.

Ma c’è un altro fattore, forse decisivo, che ha modulato l’azione di governo, volutamente limitata, nel disegno di queste nuove mini-misure. È la presa d’atto di una situazione epidemica migliorata rispetto ai due anni precedenti, un bollettino che vede il virus molto, moltissimo diffuso, ma meno, molto meno invalidante, basti paragonare la percentuale di posti letto occupati in terapia intensiva rispetto ai positivi di oggi, con quella dell’anno scorso o del 2020, merito delle vaccinazioni e delle precauzioni sanitarie. Vero. Purtroppo, però, probabilmente non si sono considerate fino in fondo le implicazioni dell’alta diffusione di contagi, che oggi non porta a ospedalizzazioni insostenibili, ma che implica comunque isolamenti massicci e psicosi generalizzata, una depressione che riverbera nei consumi, nelle frequentazioni, nelle abitudini, nei trasporti, nei cinema, nei ristoranti, negli hotel, negli eventi. 

Un salone annullato, o rinviato a tempi migliori, non è un semplice cambio di data in un calendario, è una mancata vendita di camere d’albergo, di cibo, di servizi. E, ad esempio, una camera d’albergo vuota non è merce che possa essere stoccata in magazzino: è persa. Così come un tavolo vuoto al bistrot è un mancato incasso, mentre i costi di gestione dell’attività corrono, sempre che quell’attività resista e rimanga… attiva. “Le grandi città, che nel 2019 rappresentavano un quinto delle presenze turistiche registrate in Italia, hanno subìto un crollo del 71% nel 2021: è pressoché impossibile sopravvivere con questi dati”, ha detto l’altro giorno Bernabò Bocca, Presidente di Federalberghi. Un allarme amplificato anche dai sindacati, dopo il recente via alle procedure di licenziamento (il blocco è ormai finito: la legge di bilancio ha stabilito una proroga fino ad aprile solo per le aziende con più di 250 dipendenti) di circa 250 lavoratori da parte di tre storici hotel romani, Sheraton, Majestic e Cicerone. 

“Non stupisce – ha aggiunto Bocca – che molte imprese siano chiuse da marzo 2020 e che molte altre purtroppo torneranno a chiudere nei prossimi giorni, a causa di una domanda stagnante e del clima d’incertezza generalizzato”. Difficile immaginare, insomma, che quei 230 milioni per le strutture ricettive possano salvare da un incombente naufragio le circa 35 mila imprese italiane del comparto.

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