Dopo le varie pubblicazioni da parte dell’Istat dei numeri riguardanti la demografia (unità intrinsecamente alla natalità), il lavoro e la situazione economica macro e micro del Paese, la Fondazione per la Natalità ha pubblicato un dossier che riassume i temi principali, sintetizzando dunque quello che è emerso dai report nazionali.
Oltre ai numeri, già ampiamente discussi e purtroppo sempre uguali, con la tendenza a divenire peggiori di anno in anno, ci sono diverse questioni in gioco che si riflettono direttamente sul tessuto sociale del Paese.
La premessa, doverosa, è che per affrontare il tema bisogna avere la coscienza che questo è un argomento complesso, con diverse sfaccettature, non solo economiche ma anche culturali. In particolare, queste due facce della stessa medaglia non sono opposte tra loro ma complementari: il crollo demografico è sia un problema culturale che economico. Ma rimane anche vero che il desiderio di avere figli è, dati Istat alla mano, molto superiore alle nascite effettive, dunque una delle prime azioni possibili è rimuovere gli ostacoli che impediscono il compimento del desiderio di natalità.
A riguardo delle questioni accennate in precedenza, il tema del lavoro e della ricchezza economica è dunque una delle principali: il tema dei bassi salari è ampiamente dibattuto da anni, ma rimane un fatto che i salari reali non crescono, mentre il costo della vita, in particolare al Nord, ha raggiunto cifre difficilmente sostenibili.
Sul mercato del lavoro poi si assiste in prima battuta a un mismatch tra la domanda di lavoro delle imprese e l’offerta dei giovani: oltre alla possibile responsabilità del sistema scolastico, questo effetto è dovuto anche dal fatto che molti giovani, a causa delle difficoltà citate poco prima quali salari bassi e costo della vita, preferiscono emigrare dall’Italia, tanto che in poco più di 10 anni un milione di loro è andato via dal Paese.
A oggi, tra gli occupati, gli over 50 sono più degli under 35. Questo problema a sua volta si riflette sulla capacità di produrre ricchezza (Pil) e si rifletterà, con sempre maggior forza, sul sistema di welfare (pensioni e sanità in particolare). A complicare il quadro c’è anche il numero di Neet, maggiore della media europea: questo è un altro dato che danneggia e riduce la creazione di ricchezza nel Paese.
Proprio a partire dal tema del Pil, è possibile però guardare una leva ancora “inutilizzata” in Italia, che è quella relativa all’occupazione femminile. I dati europei mostrano come l’aumento di occupazione femminile non è causa di denatalità ma al contrario dove c’è lavoro femminile, se adeguatamente sostenuto, c’è anche natalità.
In Italia invece l’aumento di lavoro femminile provoca una riduzione delle nascite, ma non perché questi due dati sono correlati, come si potrebbe falsamente intendere, ma perché mancano i servizi e le agevolazioni che consentano a una donna di poter essere sia madre che lavoratrice. I dati indicano una differenza di 12 punti percentuali dalla media Ue, che, se colmata, comporterebbe un aumento del Pil e un aumento delle nascite.
Ecco, dunque, due di tante strade non per risolvere definitivamente il problema, ma per rimuovere alcuni degli ostacoli più importanti: il lavoro femminile come leva di rilancio e, in parallelo, la formazione per ridurre il mismatch lavorativo e recuperare quella quantità elevata di giovani che non studiano e non lavorano. Così, conseguentemente, si potrebbe riuscire a produrre più ricchezza e avere una crescita dei salari reali tale da poter tenere più cervelli.
Dunque, rifacendosi al titolo dell’anno scorso degli Stati Generali della Natalità e unendolo a quello di quest’anno, potremmo augurarci, con queste azioni non più rinviabili, di avere più giovani e più futuro, per cambiare il Paese.
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