Finite le scuole inizia un lungo periodo di vacanze che crea non pochi problemi alle famiglie e anche all'apprendimento
Il tema ritorna alla fine di ogni anno scolastico. Gli abituali tre mesi circa di vacanze tra la fine di un anno scolastico e l’inizio del successivo sono troppi: perché gravano eccessivamente sulle famiglie, anche da un punto di vista economico. Perché lasciano un buco nella formazione (la cosiddetta summer learning loss).
Già a maggio il Presidente dell’associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, aveva detto di essere a favore di una riduzione della pausa estiva, con l’inserimento di vacanze più frequenti durante l’anno scolastico. Mentre il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha escluso questa possibilità e prospettato piuttosto un potenziamento del prolungamento dell’apertura delle scuole in estate per attività e corsi di vario genere.
Possibilità che appunto già viene offerta da diverse scuole (per un totale, però, di circa il 10% del totale). Il problema è che questi prolungamenti lasciano poi comunque scoperta gran parte dell’estate.
In gran parte delle regioni italiane quest’anno la pausa estiva è di 98 giorni, cioè quattordici settimane, tre mesi abbondanti. Secondo l’Unione europea, che si occupa anche di informazione sullo stato dell’istruzione, nel 2022 l’Italia è stato il Paese con le vacanze estive consecutive più lunghe tra quelli dell’Unione, insieme alla Lettonia e a Malta. In Francia sono previste 8 settimane di pausa. La Danimarca, la Germania e il Regno Unito ne fanno 6.
In luoghi dove le temperature sono simili all’Italia vediamo la Croazia che ne fa 10, Malta 12 e la Grecia dalle 10 alle 12. La Spagna varia da un minimo di 8 a un massimo di 14. Il numero di giorni di scuola non è superiore a quello dell’Italia, anzi: è spesso inferiore. Ci sono però pause più frequenti durante l’anno scolastico.
Vacanze estive molto lunghe hanno ripercussioni non da poco sulle famiglie. Che devono trovare, e investire in genere parecchi soldi, in campus, babysitter e centri estivi per occupare il tempo dei figli, soprattutto se piccoli, mentre loro ancora lavorano. Sempre che in vacanza riescano, a un certo punto, a partire davvero. Secondo i dati della fondazione Openpolis, già nel 2021 un terzo delle famiglie con almeno un figlio non ha potuto permettersi una vacanza, percentuale che sale a più della metà tra le famiglie che hanno almeno tre figli.
Ma non è solo una questione puramente logistica. Le vacanze estive sembrano essere troppe anche per la perdita di conoscenze. Durante le vacanze estive, infatti, l’apprendimento è a rischio di “regresso”, secondo il fenomeno della perdita estiva di competenze: diversi studi dimostrano che mesi interi di competenze acquisite durante l’anno vanno perduti, e ciò è vero soprattutto per studenti che provengono da famiglie meno abbienti e istruite. Una perdita che ha un effetto cumulativo sui risultati futuri, andando ad aumentare il divario educativo e le probabilità di abbandono tra bambini/e e ragazzi/e provenienti da contesti svantaggiati, ma anche per bambini/e con disabilità o con disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa).
Insomma, vero è che rimpiangiamo i tempi delle colonie (ma se lo diciamo passiamo per nostalgici vetero), ma è altrettanto vero che nei centri estivi sono spesso utilizzati i cosiddetti educatori, giovani con poca esperienza assoldati dalle cooperative sociali che troviamo nei centri organizzati – pochi dai comuni, molti dalle scuole private e cattoliche – che comunque almeno garantiscono per quanto possibile l’incolumità dei pargoli.
E diciamolo una volta per tutte la sussidiarietà è una grande realtà della quale non possiamo fare a meno, perché le reti associative lavorano non solo nel proprio interesse, ma anche nell’interesse comune, nel momento in cui costruiscono realtà utili a tutti.
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