Una riflessione sull’utilizzo della leva fiscale

- Giuseppe Cappiello

La fine dello sconto fiscale sui carburanti pone un problema in più per le tasche degli italiani. A partire da ciò, si impone una riflessione sull’utilizzo della leva fiscale, soprattutto per i beni pubblici

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La fine dello sconto fiscale sui carburanti pone un problema in più per le tasche degli italiani, già messe alla prova dall’impennata del prezzo del petrolio e, più in generale, da un’inflazione al 3,3%, il livello più alto dal 1996.
Le associazioni dei consumatori prevedono rincari fino a 600 euro all’anno a famiglia.
In realtà, in Europa dal 2003 l’aumento del greggio è stato “solo” del 160% contro il 260% dei consumatori degli Stati Uniti, in ragione del rapporto di cambio euro-dollaro, e la spesa per carburanti è cresciuta del 5-7% l’anno grazie anche ad una politica ambientale volta a ridurre i consumi per chilometro percorso (D’Elia, 2008).
A partire dal problema particolare del prezzo del carburante, che presenta variabili specifiche, (significativa dimensione finanziaria, complesse e mutevoli congiunture politiche internazionali, filiera industriale e distributiva in ristrutturazione), si impone una riflessione più ampia sull’utilizzo della leva fiscale.
La determinazione del prezzo è il momento in cui beni pubblici e beni privati manifestano maggiormente la loro differenza.
Com’è noto, quando i prodotti sono in concorrenza è il mercato a determinare il prezzo; tale circostanza, che richiederebbe una pienezza di informazioni e la sostituibilità delle offerte, è piuttosto rara, se non addirittura assente.
Il produttore cerca di differenziare la propria offerta proprio per uscire dalla “trappola” della concorrenza perfetta (prodotti sostituibili) e aggiudicarsi un premio di prezzo.
Si spiegano così gli investimenti per rafforzare il valore di marca, per l’ampliamento della gamma di prodotti, ma anche per le iniziative di fedeltà, come le raccolte punti.
Nei beni pubblici non avviene allo stesso modo; in estrema sintesi sono pubblici quei beni nei quali: a) non è possibile razionarne il consumo e b) non è desiderabile razionarne il consumo.
Quanto alla prima condizione si pensi ad un servizio di protezione dagli incendi; se questo servizio fosse fornito su abbonamento ad un prezzo di mercato si diffonderebbe presto un comportamento da “free rider” per cui chi non è abbonato usufruisce dell’abbonamento del vicino sapendo che, in caso di incendio, gli operatori interverrebbero a difesa dell’abbonato.
Analogamente, per comprendere la seconda caratteristica, si pensi alla difesa nazionale o all’illuminazione stradale e alla non convenienza a razionarne la fruizione tra la cittadinanza in corrispondenza di qualche proprietà specifica.
Per queste (e altre) ragioni i beni pubblici sono molto spesso sottratti al mercato e alla dinamica dei prezzi per essere trasferiti nella dimensione della fiscalità, sia attraverso la gestione diretta da parte della pubblica amministrazione, sia attraverso la regolamentazione e l’attribuzione di concessioni a soggetti terzi.
In questi casi il prezzo del servizio, o più correttamente le tariffe, sono fissate in relazione a obiettivi scelti per via politica, siano essi quelli del pareggio del bilancio, o del ritorno dell’investimento o della riduzione progressiva dei trasferimenti di risorse da parte delle Stato.
Ci sono tuttavia servizi pubblici non così necessari come la protezione. Il caso tradizionalmente citato è quello della programmazione televisiva ad opera dello Stato e la discussa questione del canone.
Non è possibile razionarne il consumo (per certi aspetti sarebbe desiderabile, ma questa è altra storia) perché un’antenna è sufficiente a intercettare il segnale. Come fissare il prezzo?
Continuo a chiamarlo “prezzo” per marcare l’aspetto del rimborso per ciò che si è consumato.
Questi esempi elementari volevano documentare come il momento della determinazione dei prezzi per l’utilizzo di beni pubblici rappresenta un momento centrale nella vita economica, nella definizione dei confini dell’intervento del soggetto statale e delle priorità da perseguire.
La benzina è tra queste? Per chi necessita per lavoro o per tutti?
Il ticket sanitario, anche se di entità modesta, intende razionalizzare la domanda di prestazioni; in Emilia Romagna il 30% degli esiti delle analisi di laboratorio prescritte dal medico curante non viene ritirato (!). Ha senso investire risorse pubbliche in quella direzione?
Concludendo, a parte l’urgenza di una verifica approfondita sulle economie e le esternalità della filiera petrolifera, sulla praticabilità di fonti di energia alternativa, risulta evidente come federalismo fiscale e tasse di scopo e soprattutto la percezione del costo effettivo di taluni servizi siano la forma più trasparente per collegare la pressione fiscale ad obiettivi di sviluppo di sistema di lungo periodo.
I meno abbienti trarrebbero beneficio da risorse pubbliche non sprecate in costi non trasformati in qualche modo in prezzi.

(Foto: Imagoeconomica)






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