ALITALIA/ I grandi limiti del “Piano Fenice” di Intesa-San Paolo

- Andrea Giuricin

La soluzione che l’advisor avrebbe individuato per la compagnia di bandiera vedrà perdente lo Stato, e di conseguenza i contribuenti, che vedranno andare in fumo i 300 milioni del prestito ponte. Inoltre il nuovo vettore, nato dalla fusione con AirOne, non avrà vita facile. Leggi l’intervento di ANDREA GIURICIN, Fellow dell’Istituto Bruno Leoni. All’interno il Dossier Alitalia

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L’operazione Fenice sembra essere alle porte per Alitalia; il piano di “salvataggio” del nuovo advisor Intesa-San Paolo, corredato da una nuova legge sul fallimento delle imprese, è stato anticipato da alcune fonti giornalistiche.
Parlando della compagnia di bandiera il condizionale è d’obbligo. Visti gli ultimi anni, nei quali sono state annunciate diverse rivoluzioni circa la gestione di Alitalia mai venute alla luce, è forse meglio riprendere testi dello scorso Novecento piuttosto che miti di migliaia di anni fa.
La vicenda Alitalia, sempre di più, sembra essere diventata un pezzo di Samuel Beckett: “Waiting for… Alitalia”. Il processo di privatizzazione è iniziato ormai quasi 20 mesi fa, nel dicembre 2006, con la promessa che il vettore sarebbe stato finalmente venduto e non avrebbe mai più inciso sul bilancio dello Stato; la separazione tra Ministero dell’Economia e Alitalia non è ancora avvenuta, ma nel frattempo la compagnia ha bruciato circa 900 milioni di euro.
Il contribuente italiano, l’unico vero perdente di questa privatizzazione all’italiana, aspetta una soluzione alla vicenda, che probabilmente sarà ancora una volta a suo carico.
 

L’operazione Fenice sembra confermare le indiscrezioni che circolavano da alcune settimane: la divisione tra la NewCo, con gli asset di valore della compagnia e la BadCo a cui rimarrebbero i debiti; quest’ultima verrebbe lasciata fallire con tutte le perdite a carico dello Stato.
Il fatto sorprendente sembra essere che il prestito ponte, che doveva essere un prestito temporaneo, verrà conferito alla bad company e dunque molto probabilmente quei soldi non torneranno più nelle casse del Ministero dello Sviluppo. Le finalità del prestito erano già dubbie, in quanto doveva garantire la continuità territoriale e l’ordine pubblico. Il primo obiettivo era già “difeso” dagli oneri di servizio pubblico, mentre il secondo fine era poco credibile; infatti non è possibile pensare che non si possa lasciar fallire una compagnia aerea per paura di non poter mantenere l’ordine pubblico.
Il prestito ponte si tramuterà dunque nell’ennesimo innesto di denaro pubblico in Alitalia che la compagnia brucerà a causa di una gestione fallimentare.
 

L’operazione Fenice vedrà perdente lo Stato che si ritroverà in mano il ramo aziendale di Alitalia meno efficiente, gli esuberi e i debiti della compagnia, mentre andranno conferiti nella nuova NewCo gli asset più preziosi, senza alcuna gara.
La nuova AliOne non solo rimarrà un piccolo operatore europeo con circa il 4% della quota di mercato passeggeri, ma avrà il monopolio su alcune delle principali rotte domestiche. Nel 2008 la compagnia di bandiera avrà perdite per circa mezzo miliardo di Euro ed AirOne probabilmente chiuderà in rosso, a causa dell’aumento del prezzo del carburante. Nelle casse della nuova compagnia ci sarebbero 800 milioni di euro, grazie al conferimento di tutti gli asset di Alitalia; questi soldi verrebbero bruciati molto velocemente e la ricapitalizzazione necessaria, viste le difficoltà del mercato, dovrebbe essere nell’ordine dei 2 miliardi di euro.
 

Alitalia dovrebbe essere commissariata e nel caso lasciata fallire. Non è possibile che lo Stato sprechi almeno un altro miliardo di euro per avere in mano la bad company. Il mercato non soffrirà della mancanza della compagnia di bandiera e altri vettori più efficienti sostituiranno Alitalia.
Una soluzione tutta italiana quindi non solamente sarebbe la più dispendiosa per le casse pubbliche, ma di fatto non reciderebbe quel legame tra politica, sindacati e azienda che ha portato Alitalia a perdere più di 3 miliardi di euro negli ultimi nove anni.

 
(Foto: Imagoeconomica)






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