OPEL/ Restano Fiat e Magna a sfidare la “germanica follia”

- Stefano Cingolani

Il vertice di ieri notte si è concluso lasciando sul campo solo due pretendenti: Fiat e Magna. Cadono lungo la strada i cinesi di Baic e il fondo Ripplewood. C’è una logica, dietro questa germanica follia?

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Di rilancio in rilancio, la gara per Opel è diventata un’asta impropria in cui il governo di Berlino è venditore (ora che GM ha scorporato la filiale tedesca), banditore e, di fatto, acquirente perché la scelta è nelle sue mani.

 

Il vertice di ieri notte si è concluso lasciando sul campo solo due pretendenti: Fiat e Magna. In un paio di giorni dovranno migliorare le loro offerte e poi si vedrà. Cadono lungo la strada i cinesi di Baic e il fondo Ripplewood. C’è una logica, dietro questa germanica follia? Ce ne sono diverse, per lo più in conflitto.

1) Secondo la logica industriale, Fiat è un ottimo partner. La Corsa e la Punto condividono il motore 1300 diesel multijet e sono già prodotte sulla stessa piattaforma (così come le monovolume Agila, Idea e Musa). La Croma viene dalla Signum; persino Saab usa un turbodiesel di origine Fiat. Sono frutti dei cinque anni di lavoro in comune, durante lo sfortunato matrimonio con GM. Dunque, quando Marchionne quantifica le sinergie, sa cosa dice. La proposta Magna, invece, darebbe l’illusione di maggiore autonomia, ammesso che Opel possa tirare avanti con volumi produttivi troppo bassi per consentire vere autonomie di scala. Il principale socio industriale, Gaz, è un assemblatore russo che versa in pessime condizioni. Mentre l’azienda austro-canadese fornisce componenti e non progetta né produce automobili.

2) La logica finanziaria è spietata: nessuno ha soldi da tirar fuori e tutti contano su quelli che il governo è disposto a stanziare. Il problema non sarà tanto scegliere chi promette di chiederne meno, ma chi dà garanzie di restituirli e di farlo in tempi certi. Ora GM, per liberare Opel dai debiti, vuole altri 300 milioni rispetto al miliardo e mezzo promesso dal governo e quest’ultimo ha girato la richiesta ai pretendenti.

3) Sul piano sociale, Fiat più Opel vuol dire meno occupati diretti. Secondo Marchionne i tagli colpiranno al massimo diecimila lavoratori; la capacità produttiva in eccesso oggi è poco più di un quinto, ma solo se la crisi non peggiora. La scommessa di Magna è vendere un milione e passa di Opel tra Mosca e Novosibirsk. Ma quando? Tra i paesi in via di sviluppo, la Russia è senza dubbio il più colpito dalla crisi. Se parliamo di mercato, erano molto più interessanti i cinesi.

4) La logica politica interna è davvero complicata, spesso confusa. I socialdemocratici, anche sotto l’influenza di Schroeder, vedono di buon occhio la cordata russa. I sindacati sono per un vero e proprio salvataggio pubblico. La Cdu è divisa tra la Merkel, più vicina alla Fiat, e il governatore dell’Assia attratto da Magna. Il ministro dell’economia zu Guttenberg (Csu), oscilla. Il voto di settembre consiglia prudenza. Vendere Opel agli italiani o ai russi, in campagna elettorale diventa “svendere”, con un rimpallo di velenose accuse.

5) La logica internazionale, infine, è un ginepraio. L’opzione moscovita non piace alla Casa Bianca che spinge perché gli europei allentino l’abbraccio con Putin. Il fallimento del vertice euro-russo di venerdì, del resto, è un segnale. Il Wall Street Journal scrive che i paesi dell’Unione cercano di uscire dalla loro eccessiva dipendenza dal gas, grazie alla crisi che ha fatto cadere i consumi del 10% e alla riduzione del prezzo che rende di nuovo conveniente l’olio combustibile. Per la Merkel, tradizionalmente filo-americana, diventa imbarazzante prendersi una coppia di oligarchi sul lastrico come Suleiman Kerimov (Sberbank) e Oleg Deripaska (Gaz), finanziati dal Cremlino. Ma anche i socialdemocratici non possono spingere troppo: gli intrecci economici (e i sospetti) sono già abbastanza diffusi.

6) Marchionne ha sottovalutato il ruolo della politica? L’ad Fiat non è certo un ingenuo. Ma forse ha pensato di poter seguire la logica americana, tutto sommato lineare come nel caso Chrysler. Si negozia duro con tutti i soggetti interessati, poi si trova un accordo chiaro. Nella vecchia Europa le strade sono più tortuose, persino là dove prevale lo spirito protestante.

Un intervento diretto del governo italiano può essere d’aiuto? Probabilmente no. Ma adesso scende in campo anche Bruxelles. Barroso dice che «è un affare europeo». Il commissario Verheugen (tedesco) tifa contro la Fiat. Il governo inglese vuol difendere Vauxhall. In nome del mercato unico, di regole eque e dell’Unione (se ancora esiste), forse non sarebbe male far sentire anche la voce dell’Italia.







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