ENCICLICA/ 2. Campiglio: la crisi spiegata a chi ancora non l’ha capita

- Luigi Campiglio

Poiché comincia a farsi strada l’idea che questa crisi non sia molto diversa dalla altre e quindi fra poco si potrà tornare senza più pericoli all’esuberanza del passato questa lettera enciclica merita di ricevere risposte intellettualmente rigorose e rispettose di una visione dell’economia al cui interno ogni uomo, con la sua vita, è al centro del meccanismo sociale

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La lettera enciclica di Benedetto XVI “Caritas in Veritate” si colloca nella tradizione delle grandi encicliche attraverso cui la centralità dell’umano viene riaffermata come il nodo centrale dell’universalismo cristiano, nella continuità del dialogo aperto da Paolo VI con la “Populorum Progressio” nel 1967 e da Giovanni Paolo II con la “Sollicitudo Rei Socialis” nel 1987, con un’ esplicita ispirazione iniziale a San Paolo, da cui prende le mosse il titolo stesso dell’enciclica, e il cui Anno Paolino viene ricordato in suggello a chiusura.

La domanda centrale che l’enciclica si pone è quali siano i grandi mutamenti strutturali avvenuti a partire dal 1967, e di cui la Chiesa deve farsi carico, e fra questi il fenomeno della globalizzazione emerge come il dato nuovo centrale, con il quale si intrecciano una molteplicità di aspetti, fra i quali spicca, per la sua attualità, la grande crisi in corso, la cui propagazione dagli Stati Uniti e dal mondo della finanza data ormai già da due anni.

Poiché comincia a farsi strada l’idea che questa crisi non sia molto diversa dalla altre e quindi fra poco si potrà tornare senza più pericoli all’esuberanza del passato questa lettera enciclica merita di ricevere risposte intellettualmente rigorose e rispettose di una visione dell’economia al cui interno ogni uomo, con la sua vita, è al centro del meccanismo sociale, e non una pagliuzza in balia dei capricci di un mondo imprevedibile. Già Giovanni Paolo II, nel 2000, aveva sollecitato una «nuova e approfondita riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini», ma solo un pugno di intellettuali ha finora raccolto quella sfida.

L’economia civile e di comunione, a partire dalla comunità familiare, le imprese sociali, il ruolo della gratuità e del dono, una economia delle capacità, il concetto di bene comune, il ruolo della sussidiarietà sono solo alcuni esempi della frontiera intellettuale di cui il nostro paese è centro di elaborazione. Vi è la necessità di una visione più ricca e articolata del funzionamento delle economie e delle imprese moderne, per far in modo che si realizzi una più equilibrata distribuzione dei benefici potenziali della globalizzazione ed evitando che il costo della prima crisi globale del XXI secolo si scarichi su gruppi sociali che non ne hanno alcuna responsabilità e che richiedono quindi una legittima “protezione”.

L’enciclica fornisce una solida cornice intellettuale al cui interno è possibile cercare risposte, che richiedono comunque un disegno culturale nuovo, un esplicito sistema valoriale di cui l’uomo sia il perno, nella consapevolezza che il bene comune richiede l’intenzionalità di comportamenti nuovi per essere conseguito. A fondamento della globalizzazione vi è la necessità di una collaborazione dell’intera famiglia umana, un obiettivo necessario allo sviluppo e alla pace, ma non semplice da realizzare, vista la scarsa considerazione nella quale troppi paesi tengono la famiglia, a partire dall’Italia che da ormai sessant’anni disattende uno dei fondamenti della Costituzione.

Ma se è semplice chiamare fratello chi lo è per il fatto di avere gli stessi genitori, lo è meno quanto più ci allontana dalla comunità stretta, e ciò nonostante la solitudine sia, come denuncia l’enciclica, una delle più profonde povertà che l’uomo può sperimentare. Perché la globalizzazione dia i suoi benefici è necessario un meccanismo di sussidiarietà, ma esso sarebbe destinato a crescenti difficoltà senza il valore della carità nella verità, che dà il nome all’enciclica.

La globalizzazione affronta in modo aperto la questione delle migrazioni, poiché va ricordato che esiste una peculiare asimmetria morale per il fatto che la libertà di lasciare il proprio paese non determina il diritto ad entrare in un altro. Ma chi emigra è spesso spinto dall’urgenza della fame ed è per questo che l’enciclica affronta, in una prospettiva globale, la questione della sicurezza alimentare, così come della disponibilità di acqua. La globalizzazione è una rivoluzione sociale e la nuova enciclica contribuisce a una sua corretta comprensione, oltre che fornire strumenti per una possibile soluzione.







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