FINANZA/ Forte: l’espansione a “Gerica” aiuterà l’Italia nel 2011

- int. Francesco Forte

Dopo Ugo Bertone e Carlo Pelanda, FRANCESCO FORTE fa le sue previsioni sul 2011 dell’economia italiana, contrassegnata come sempre dall’andamento dell’export

Operaio_MotoreR400-1 Foto Imagoeconomica

Il 2010 sta giungendo al termine, con una crescita del Pil italiano stimata all’1%, e già si pensa a quel che accadrà nel 2011. Ugo Bertone e Carlo Pelanda hanno già su queste pagine descritto gli scenari più probabili per il nostro paese, che ha la necessità di avere un traino dall’esterno, dato che è esportatore. Una caratteristica che l’economista Francesco Forte ritiene positiva, soprattutto per equilibrare la bilancia dei pagamenti con l’estero da cui dipendiamo, vista la necessità di importare materie prime.

 

Professore, come sarà secondo lei il 2011 dell’economia italiana? Ci sarà una ripresa?

Non sono molto ottimista, ma nemmeno pessimista. Vedo che c’è un’evoluzione, anche se lenta, che avviene su una base solida, dato che le famiglie non si indebitano troppo, continuano a risparmiare e a essere nella maggioranza dei casi proprietarie di case. Magari non si faranno grandi progressi, ma il 2011 sarà migliore del 2010, che non è stato così disgraziato come si poteva immaginare: le previsioni di crescita per il Pil variano, infatti, in un range compreso tra lo +0,9% e il +1,4%. Ma la cosa più importante è che la nostra economia potrà contare su un buon equilibrio della bilancia dei pagamenti con l’estero.

Come mai?

Perché abbiamo un’economia particolarmente aperta, trainata dalle esportazioni, a differenza di quel che accade in stati come Grecia, Spagna e Irlanda. Quest’ultima, in particolare, attira molti investimenti esteri, quindi le sue esportazioni sono fatte da aziende straniere che esportano anche i profitti. L’export ha avuto già una notevole ripresa, sia per merito della favorevole congiuntura internazionale che della capacità delle nostre imprese di reagire alla crisi e di trovare nuovi mercati di sbocco. Senza dimenticare che il Governo è riuscito ad allacciare rapporti commerciali fruttuosi con paesi come Libia e Russia, che sono esportatori di materie prime e hanno dunque la possibilità di importare.

Il fatto di essere un paese esportatore vuol dire contare sul traino di qualcun altro: Stati Uniti, Cina, Germania, ecc. Chi ci aiuterà di più?

Gli Stati Uniti importeranno meno di prima, perché sono ancora in crisi. Molto dipenderà, credo, dalla Germania. Fino adesso si poteva essere molto ottimisti per via del boom tedesco, specie nel settore dell’auto, cui l’Italia fornisce parecchie componenti. C’era una forte esportazione in Cina, ma i fenomeni inflazionistici e la forte congestione del traffico che si sta creando, con fenomeni di code stradali ultrachilometriche, sta spingendo Pechino a frenare le importazioni di auto. Per fortuna ci sono per noi altri mercati di riferimento.

Quali?

Gli altri mercati asiatici in espansione, come quello indiano, quelli nordafricani e mediorientali (Libia, Egitto, Turchia, Iraq), dell’America Latina (soprattutto Brasile) e naturalmente interni all’Ue (Polonia ed Est Europa). Io ho individuato un’area geopolitica molto importante per la nostra espansione economica e l’ho chiamata “Gerica”, cioè Germania, Est europeo, Russia, Stati del Caspio, Stati afro-asiatici del Mediterraneo. Sarà anche grazie a questa che il nostro export crescerà.

 

Quale ritiene sia la sfida più importante da vincere per la nostra crescita?

 

Per lo sviluppo economico italiano è fondamentale la competitività e per questo occorre una modifica dei contratti di lavoro, in modo che siano basati sulla produttività a livello aziendale. Questo è sicuramente l’elemento distintivo che può consentire alla nostra industria di essere molto più brillante anche nell’export e di reggere meglio la concorrenza sul mercato interno, perché il fatto che da noi non si utilizzino abbastanza gli impianti con il lavoro flessibile, notturno, domenicale, rende meno conveniente gli investimenti, abbassa le retribuzioni (e di conseguenza quel flusso di ricchezza che si trasforma anche in consumi) e tende anche a ridurre l’occupazione.

 

Dunque bisogna seguire la strada che sta tracciando Marchionne con la sua “rivoluzione”?

 

In realtà, non si tratta di nulla di nuovo: in alcune imprese questo sistema esiste già, mentre in Germania è la norma. Tuttavia è a questo che è legato il nostro destino di sviluppo produttivo. Solo così potremmo avere un tasso di crescita maggiore e in tempi abbastanza brevi. Non servono, infatti, tanti anni per una riforma di questo tipo. La questione fondamentale è capire se Confindustria si deciderà ad auto-riformarsi, ossia ad accettare che si facciano i contratti periferici secondo le nuove modalità che sono state accolte da Cisl, Uil, Fismic e Ugl, ma non dalla Cgil, e che stabiliscono che chi firma questi contratti poi partecipa alla loro gestione bilaterale. In questi accordi sono importanti i premi di produttività, i controlli sugli assenteismi, i turni, gli orari straordinari e tutto ciò che permette quella flessibilità di cui ho detto poc’anzi.

 

Esiste la possibilità che ci sia una ripresa economica senza un aumento dell’occupazione?

Sì, anche perché la soluzione al problema della disoccupazione in Italia va oltre l’equazione “più crescita uguale più lavoro”. Infatti, la disoccupazione è “a chiazze” sia dal punto di vista territoriale che di tipologia occupazionale, esiste il fenomeno del lavoro nero e abbiamo molti immigrati che svolgono quelle professioni che non vogliamo o non sappiamo più fare (nell’edilizia, nella ristorazione, nell’agricoltura e nella sanità). Credo che i giovani vadano indirizzati meglio non solo all’università, verso studi per cui c’è un reale sbocco professionale, ma anche prima con l’istruzione professionale, sempre “culturalmente” maltrattata in Italia. Oltre agli ingegneri, ci vogliono i geometri, i tecnici. Non bisogna dimenticare che la nascita di scuole professionali nel Nord del Paese nel secolo scorso ha contribuito moltissimo allo sviluppo industriale di quell’area. Credo poi che la flessibilità contrattuale di cui ho detto faciliti la creazione di nuovo lavoro.

 

All’inizio di questo mese, su queste pagine lei evidenziava come l’instabilità politica rischiasse di far finire l’Italia nel mirino della speculazione internazionale. Dopo la fiducia incassata dal Governo il 14 dicembre, pensa che il problema si ripresenterà l’11 gennaio con l’udienza della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento?

 

La mia impressione è che la Corte Costituzionale terrà un atteggiamento prudente e non lo boccerà. Dirà piuttosto che occorrerà riconoscere di volta in volta il legittimo impedimento, anziché in via generale con un’unica norma. Questo perché altrimenti si configurerebbe un’impunità, anche se il rinvio dei processi mi sembra qualcosa di diverso.

 

Non potrebbero esserci però timori di elezioni anticipate, dato che Berlusconi avrebbe bisogno di allargare la maggioranza?

 

Il Governo ha ottenuto la fiducia con tre voti di scarto, e per mia esperienza questo vuol dire che ne ha in realtà una decina in più, margine che permette all’esecutivo di controllare le Commissioni parlamentari. A questo punto la questione dei pochi voti di scarto non ha più importanza. Inoltre, le maggioranze politiche possono anche essere ridotte quando l’opposizione non è omogenea. C’è poi un partito, l’Udc, che fa un’opposizione “di velluto”, dato che a volte ha votato con la maggioranza. Credo quindi che non ci saranno le elezioni anticipate e mi sembra che il giudizio dei mercati sia che l’Italia ha un governo che regge.

 

(Lorenzo Torrisi)







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