Eh sì, cari lettori. Sotto l’albero di Natale, famiglie e imprese hanno trovato proprio liquidità in abbondanza per potersi finanziare, per accendere un mutuo, per investire, per pagare i fornitori e le tredicesime arretrate dei dipendenti. Ok, ora spegnete la Playstation e tornate al mondo reale! Come era ovvio, la liquidità a prezzo di saldo ottenuta dalle banche attraverso la Bce – quasi 500 miliardi ma al netto di rolls e minor utilizzo di altri operazioni di finanziamento, poco più di 200 – dove è finita? Alla Bce!
Venerdì c’è stata infatti la conferma del netto rialzo dei depositi overnight delle banche presso l’Eurotower, un dato che ha raggiunto i massimi da giugno 2010. Gli istituti dell’eurozona hanno parcheggiato all’istituto di Francoforte 347 miliardi di euro giovedì scorso – contro i 265 miliardi del giorno prima, un bel 30% in più – dopo l’assegnazione dei fondi della maxi-asta di rifinanziamento a tre anni. Insomma, intasca e imbosca. E poi un altro dato: sempre venerdì, lo spread Btp-Bund è rischizzato sopra quota 500 punti base, nonostante il via libera del Senato alla manovra salva-banche, ops salva-Italia, del governo Monti. Quindi, delle due l’una: sul mercato, o si è venduto debito italiano o si è comprato debito tedesco. Di certo, nessuno ha comprato nostre obbligazioni. E in effetti, con la scadenza per l’aumento della ratio di capitale Tier 1 al 9% entro giugno, un qualcosa che richiede un aggiustamento nei bilanci bancari pari al 2,5 triliardi di euro (dato dello stability board della Banca per i regolamenti internazionali), è dura che un banchiere abbia voglia di dar retta a Nicolas Sarkozy e Mario Draghi e ai loro desiderata per ammosciare i differenziali.
Insomma, siamo alla vigilia di un deleveraging selvaggio – e di qualche salvataggio di Stato, statene certi – e non all’allegro uso di denaro della Bce per acquistare Btp e Bonos. Peccato che gli Stati dell’eurozona dovranno finanziarsi per 1,6 triliardi nel 2012, mentre per le banche le necessità saranno di 700 miliardi di euro. Ecco alcune scadenze di redenzione del nostro debito: in gennaio 15,2 miliardi di Bot, in febbraio 17 miliardi di Bot, 25,8 miliardi di Btp e 10,6 miliardi di Ctz (totale del mese 53,4 miliardi), mentre in marzo 17 miliardi di Bot, 14,9 miliardi di Btp e 12,3 miliardi di Cct (totale del mese 44,2 miliardi). Ci sono poi le necessità di emissione di nuovo debito per coprire il deficit di budget di un’economia già ufficialmente in recessione. Insomma, le banche non cacciano un euro a imprese e famiglie ma li parcheggia presso la Bce, non comprano debito sovrano (almeno non italiano) e saranno costrette comunque a un deleverage capace di creare scossoni. E magari crolli.
Già, perché a detta del centro studi di Royal Bank of Scotland, la mossa di Mario Draghi è servita unicamente a una cosa, fondamentale però: evitare un evento finanziario in stile Lehman Brothers nell’eurozona, un qualcosa che due settimane fa si dava quasi per certo e che ha portato l’Eurotower ad annunciare le due operazioni Ltro (la prossima sarà a fine febbraio), contestualmente al ribasso ulteriore dei tassi di riferimento. Insomma, scordatevi l’intervento strutturale: è stata emergenza pura, l’abbiamo scampata per un pelo. E l’anno prossimo? Ogni dicembre che il Signore manda in terra, Saxo Bank, banca specializzata in investimenti e trading online, diffonde le sue “10 previsioni shock” per l’anno successivo. Anche il 2012 non fa eccezione ed ecco, quindi, le dieci incognite (almeno tre-quattro su dieci, di solito, Saxo le prende in pieno).
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Primo, il titolo Apple crolla del 50% dai massimi del 2011. Nel 2012, i dispositivi più innovativi di Apple, l’iPhone e l’iPad, dovranno fronteggiare una concorrenza sempre più agguerrita composta da Google, Amazon, Microsoft/Nokia e Samsung. Apple non sarà in grado di mantenere la quota di mercato del 55% di iOS (tre volte quella di Android) e del 66% dell’iPad. Secondo, l’Unione europea estenderà le festività durante il 2012. I cambiamenti apportati a dicembre nel trattato dell’Ue non si sono dimostrati sufficienti per risolvere i problemi di finanziamento e la crisi del debito si riacutizzerà a metà anno. I mercati borsistici europei cadranno rapidamente del 25% inducendo i leader europei a imporre un’estensione delle festività con la chiusura di almeno una settimana di borse e banche. Terzo, un candidato che non si è ancora annunciato sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti. Nel 1992, il miliardario texano Ross Perot ha tratto un enorme vantaggio dalla recessione economica e dall’ampio dissenso della popolazione nei confronti della politica tanto da raggiungere il 18,9% dei consensi. Tre anni di Obama non hanno prodotto i risultati attesi. Anzi, ora si registra una certa disaffezione nei confronti della classe politica e le condizioni per un’affermazione di un candidato di un terzo partito non sono mai state così concrete. Qualcuno, un outsider, con un programma di forte cambiamento getterà la maschera nei primi mesi del 2012 ottenendo poi a novembre la presidenza, in una delle elezioni più clamorose nella storia degli Stati Uniti.
Quarto, l’Australia entra in recessione. Gli alti e bassi della Cina spingeranno alcuni paesi dell’area Pacifico in recessione. E se mai c’è stata una nazione legata alla salute del gigante asiatico, è l’Australia, con la sua forte dipendenza dalle risorse naturali e minerarie. Se la domanda della Cina su questi beni incorrerà in una forte contrazione, l’Australia piomberà in una forte recessione che si aggraverà ulteriormente con il crollo del settore immobiliare, cinque anni dopo di quello avvenuto nel resto del mondo occidentale. Quinto, nazionalizzazione di 50 banche europee a causa della stretta regolatoria di Basilea 3. Agli inizi del 2012, la pressione sull’intero sistema bancario europeo crescerà. Questo alla luce dei nuovi livelli di capitalizzazione richiesti e della nuova stretta regolatoria che costringerà le banche a ridurre l’indebitamento in gran fretta. Si assisterà a una svendita di asset in un mercato con pochi compratori, alla paralisi dei rapporti interbancari e a una fuga dei risparmiatori. Più di cinquanta banche verranno nazionalizzate con molti dei marchi commerciali che conosciamo che cesseranno di esistere.
Sesto, la Svezia e la Norvegia i nuovi porti sicuri dopo la Svizzera. Come già abbiamo visto con la Svizzera, diventare un porto sicuro in un mondo in cui le banche centrali svalutano la loro moneta può presentare dei rischi per l’economia di un Paese. Il mercato dei capitali di entrambe queste due nazioni è di gran lunga più piccolo di quello della Svizzera. Dopo che la Svizzera ha deciso la svalutazione della propria moneta, i money manager stanno cercando nuovi porti sicuri per i propri investimenti. Gli ingenti flussi di capitali verso i bond governativi di Svezia e Norvegia porteranno i loro tassi a 10 anni appena sotto i 100 basis point rispetto al classico porto sicuro rappresentato dai Bund. Settimo, la Banca centrale svizzera vince la propria battaglia e il cambio euro/franco svizzero si impenna a 1,50. La lotta della Svizzera nel combattere l’apprezzamento della propria valuta continuerà a pagare anche nel 2012. Con i fondamentali dell’economia svizzera, in particolare quelli legati all’export, che continueranno a soffrire anche nel 2012, anche in relazione alla recente forza del franco, la Banca centrale svizzera e il governo studieranno una mossa per portare il cambio a quota 1,50. Questo al fine di evitare ulteriori danni collaterali e tassi di interesse negativi che innescherebbero una fuga di capitali dal tradizionale porto sicuro svizzero.
Ottavo, il cross dollaro/yuan cresce del 10% a quota 7.00. Terminati i benefici derivanti dalla costruzione di città fantasma per milioni di abitanti con i margini degli esportatori sempre più ridotti
a causa del livello dello yuan, la Cina sarà sull’orlo della “recessione”, il che significa un Pil che cresce al 5-6%. I politici cinesi vengono in soccorso degli esportatori consentendo allo Yuan di deprezzarsi nei confronti del dollaro statunitense portando il concambio a quota 7.00 in rialzo del 10%. Il tutto sostenuto dal fatto di essere visti come un porto sicuro nel bel mezzo di una crisi economica globale e della crisi del debito dell’Eurozona. Nono, il Baltic Dry Index cresce del 100%. Un prezzo del petrolio più basso e quindi spese inferiori di gestione potrebbe portare a un grosso rimbalzo del Baltic Dry Index. Brasile e Australia hanno in programma di espandere le loro forniture di metalli ferrosi, spinti da prezzi più bassi e dalla crescente domanda proveniente dalla Cina per soddisfare la propria produzione industriale. In combinazione con l’allentamento monetario ci sarà un picco della domanda di minerali ferrosi. Decimo, i prezzi dei cereali raddoppieranno. Il prezzo dei cereali Cbot si duplicherà durante il 2012 dopo che nel 2011 si è verificato uno tra i peggiori raccolti di sempre. Con sette miliardi di persone sulla terra, le macchine che stampano denaro a pieno regime e cattive condizioni atmosferiche che stanno per tornare, anche il 2012 non sarà certo una buona annata per i prodotti agricoli. Il prezzo del grano in particolare vedrà un incremento importante visto che è stato oggetto di una delle più grandi posizioni short da parte degli investitori in chiave speculativa e si attesterà ai livelli massimi toccati nel 2008. Ecco qui, non un armageddon ma un bel ridimensionamento, non vi pare!
Ma anche Bank of America è in vena di previsioni e ha stilato una lista degli “altri” quattro rischi per il 2012, ovvero avvenimenti esterni alla crisi del debito sovrano e dell’eurozona, da cui guardarsi nei 365 giorni che iniziano la prossima settimana. Il primo è l’hard landing dell’economia cinese, su cui ci siamo soffermati diffusamente venerdì scorso. Nonostante l’economista che si dedica alla Cina per l’istituto, Ting Lu, continui a ritenere più probabile un soft landing, ci sono due variabili che preoccupano non poco. Primo, il crollo degli investimenti sulla proprietà come conseguenza della stretta governativa sul credito. Secondo, un peggioramento della situazione nell’eurozona. Non bisogna dimenticare, inoltre, l’aumento negli ultimi anni delle percentuale cinese del Pil mondiale, soprattutto nel 2010 che ha visto il 18% di tutta la crescita globale garantito da Pechino. Un qualcosa di fondamentale in anni di crescita lenta o zero in gran parte delle economie sviluppate: nel biennio 2008-2009 il Pil mondiale si è contratto del 5% mentre quello cinese è cresciuto del 10%. Appare chiaro che un’ipotesi di hard landing cinese sarebbe devastante a livello generale, poiché affosserebbe ancora maggiormente le economie già in recessione o a forte rischio di entrata.
Secondo rischio, una guerra valutaria. Già all’inizio di quest’anno, il segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner, aveva messo in guardia Pechino dai rischi derivanti dalla sua volontà di non lasciare apprezzare lo yuan velocemente, arrivando a dure accuse da parte del Congresso verso la Cina per manipolazione valutaria. In effetti, il tasso di apprezzamento dello yuan è stato solo del 6% e si è
completamente bloccato a metà agosto, assestandosi nel range 6,35-6,40. Ma al netto del peggioramento della situazione economica cinese, appare pressoché impossibile che Pechino permetta l’apprezzamento della sua valuta, tanto che gli analisti di Bank of America prevedono che lo yuan resterà nel range 6,30-6,40 sul dollaro per i primi tre trimestri del 2012. D’altro canto, economisti e analisti sono abbastanza concordi nel prevedere per la prossima estate il terzo round di quantitative easing da parte della Fed, destinato a rinnovare le critiche mosse dalla Cina verso Washington durante i primi due interventi, ovvero effetti inflazionari e diluizione degli investimenti cinesi negli Usa. In contemporanea c’è la questione dello yen, a livelli molto alti sul dollaro, tanto da far intervenire la Bank of Japan per svalutare la moneta. Inoltre, c’è l’euro e il rischio che la Bce sia costretta a operazioni finora scartate a priori per far fronte a un peggioramento della crisi. Insomma, in un ambiente globale di indebolimento, cresce il rischio di una corsa alla svalutazione competitiva tra banche centrali per rianimare le proprie economie.
Terzo rischio, uno shock nelle forniture petrolifere del Medio Oriente. La guerra in Libia ha dimostrato quanto poco elastica possa essere la curva della domanda sui mercati petroliferi nel breve periodo. Con gli 1,6 milioni di barili al giorno prodotti in Libia rimossi dal mercato, il prezzo del Brent è salito solo di 20 dollari. E se entro l’inizio dell’anno nuovo le forniture di Tripoli dovrebbero tornare sul mercato, la situazione in Medio Oriente è tutt’altro che calma, a partire dalla Siria ma anche con il rischio di un coinvolgimento dell’Iran (le manovre di questi giorni nello stretto di Ormuz non depongono verso un futuro immediato di concordia), ipotesi che porterebbe a un deterioramento delle dinamiche politiche. Anche perché l’Iran è un esportatore di petrolio molto maggiore della Libia, nonostante di qualità peggiore rispetto allo sweet crude libico e un
eventuale shock petrolifero in un ambiente globale di crescita economica in ulteriore rallentamento, potrebbe portare a un outlook molto preoccupante.
Quarto rischio, i default municipali Usa. All’inizio del 2011 quest’ultimo era un argomento molto caldo ma il rally dei Treasuries e le scadenze comunque lunghe del debito municipale, hanno invece fatto in modo che i cosiddetti “muni-bonds” o “munis” fossero l’asset più performante di quest’anno! Il rischio, però, resta ed è significativo ancorché non sistemico. Il peggioramento della situazione dell’eurozona ha visto infatti gli spread creditizi per i municipali nel mercato cds ritracciare ai livelli di inizio anno, ovvero quando il rischio default era ritenuto molto serio. E, in effetti, qualche default è avvenuto, tra cui uno di alto profilo come quello di Jefferson County in Alabama, il più grosso della storia Usa. Insomma, il rischio resta basso ma presente e potrebbe spaventare i mercati in un ambiente economico globale già gravemente compromesso e frustrato.
Insomma, cari lettori, le sfide di fronte a noi sono enormi. E a quanto contenuto nelle previsioni sia di Saxo che di Bank of America, va unita quella che io ritengo la madre di tutte le sfide: nel solo primo trimestre del 2012, vengono a scadere 230 miliardi di obbligazioni bancarie, 250-300 miliardi di titoli pubblici e più di 200 miliardi di debito a collaterale. Lo stesso Mario Draghi ha avvertito che l’anno prossimo le pressioni sul mercato obbligazionario, a causa delle necessità di rifinanziamento delle banche e dei Paesi, saranno «veramente molto, molto significative. Se non addirittura senza precedenti». E l’Europa sarà nel centro del mirino dei mercati. Non è un caso, quindi, che le scommesse contro l’euro siano ai massimi dalla sua introduzione. Lo certifica l’Hedge Fund Watch di Societe Generale, secondo cui le posizioni short sulla divisa unica europea hanno superato di gran lunga il picco registrato nel giugno del 2010, quando la moneta unica era trattata a 1,19 sul dollaro mentre oggi viaggia sull’1,30.
Insomma, gli hedge funds sono sicuri e oltre all’euro stanno shortando anche la sterlina oltre al gas naturale, mentre acquistano yen e petrolio crude. Oddio, visti i magri risultati ottenuti quest’anno dai fondi speculativi, si potrebbe ben sperare in un altro anno di previsione errate, ma le incognite che gravano sul 2012 dal punto di vista finanziario ed economico sono davvero enormi. Ciclopiche. Epocali.