ITALIA-FRANCIA/ E alla fine Berlusconi “bombardò” Tremonti
Il vertice con Sarkozy sembra aver permesso a Berlusconi di rivedere il quadro della strategia economica italiana, come spiega MICHELE ARNESE in questa analisi

Realpolitik? Chiamiamola Realeconomik. Le ultime sortite del premier Silvio Berlusconi sono classificabili in un’ideale sezione di sano realismo economico, anche a costo di una parziale sconfessione di parole e atti precedenti del governo e dello stesso presidente del Consiglio.
Come non definire pragmatica, infatti, la dichiarazione di Berlusconi di lunedì, poco prima che iniziasse il vertice Italia-Francia con il presidente Nicolas Sarkozy, secondo cui anche l’Italia bombarderà la Libia con raid mirati contro specifici obiettivi militari selezionati? La decisione del Premier è stata conseguente alla presa d’atto di una situazione: i margini di disimpegno per l’Italia si erano esauriti, pena un isolamento sì politico, ma soprattutto geo-strategico, quindi economico. In altri termini, a soffrire per una neutralità di fatto del nostro Paese sarebbero state le nostre grandi aziende, a partire dall’Eni. L’implicito isolamento politico dell’Italia avrebbe escluso i nostri piccoli e grandi gruppi aziendali dalla partecipazione alla fase post-Gheddafi della Libia. È cinico forse dirlo, e ammetterlo, ma la realtà è questa.
Stesso pragmatismo traspare dalla non ostilità con cui Berlusconi ha accolto l’Opa (Offerta pubblica di acquisto) annunciata dalla francese Lactalis su Parmalat: “Ho una mia posizione personale su queste cose, vengo da una storia imprenditoriale e sono convinto che l’economia debba essere sempre e assolutamente libera”, ha detto il premier a sorpresa. A sorpresa, perché il governo di centrodestra con decreti e con parole, soprattutto del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, aveva in cantiere una controffensiva italiana sulle arrembanti aziende transalpine in Italia: da Groupama in Fonsai, passando per Edf in Edison, fino appunto a Lactalis in Parmalat.
Ma il colbertismo tenue, teorizzato e praticato da Tremonti, con il consenso più o meno esplicito di tutto il governo, ieri è stato così mitigato – o sconfessato, dipende dai punti di vista – da Berlusconi: “Gli stati – ha detto il premier – possono intervenire quando si tratta di settori che mettono a rischio la loro sicurezza o il loro ordine interno, in tutti gli altri la concorrenza deve essere libera”. Ma il latte e gli yogurt di Parmalat, evidentemente, non rientrano tra i settori che possono mettere a rischio la sicurezza e l’ordine interno dell’Italia.
C’è da dire, comunque, che lo stesso governo Berlusconi ha addirittura varato un decreto per consentire ai consigli di amministrazione delle società – ovvero a Parmalat – di poter prorogare l’assemblea dei soci dando così tempo a banche e Cassa depositi e prestiti di coagulare una cordata italiana, magari con un partner industriale per rilevare l’azienda di Collecchio.
Alla sezione intitolata “Realeconomik” può essere anche catalogato un altro annuncio di ieri del Cavaliere: il nucleare è il futuro, il referendum lo avrebbe bloccato per anni. Magari non è politicamente corretto ammettere che si è deciso di evitare la consultazione referendaria per evitare che vincessero i sì. E di sicuro non è popolare giustificare così la moratoria: “È stata presa per permettere all’opinione pubblica di tranquillizzarsi dopo Fukushima. I contratti Enel-Edf vanno avanti, l’energia atomica destino ineluttabile”.
Ineluttabile è aggettivo impegnativo. Come e quanto le 47 frasi contenute nella prima versione del Pnr (Programma nazionale di riforma) che l’esecutivo aveva inviato nello scorso novembre alla Commissione di Bruxelles, in cui il ritorno all’energia nucleare era ritenuta una strategia fondamentale, e quasi ineluttabile, per la politica economica ed energetica di un Paese povero di materie prime come l’Italia.
Ma per l’Italia una sana Realeconomik, seppure a scoppio ritardato, è preferibile a populismi, ideologismi e tafazzismi.
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