SCENARIO/ 1. Pelanda: così lo “statalista” Obama vuole affossare l’Italia
Il braccio di ferro tra Cina e Usa sta continuando con sempre maggiore intensità. Anzi, lo scontro diviene simbiontico. CARLO PELANDA lo illustra a IlSussidiario.net

La crescita del mercato interno in Italia è stagnante perché la deflazione da rigore, cioè meno soldi pubblici immessi nell’economia, non è bilanciata da stimoli per la crescita. Tale situazione non cambierà presto, nonostante recenti consapevolezze del problema nel governo, e ciò significa che l’economia italiana potrà crescere solo sul lato dell’export nel prossimo futuro. Per questo dobbiamo dare la massima attenzione all’andamento della domanda globale.
Gli scenari del recente passato prevedevano una pausa lieve e breve della crescita in Cina nel primo semestre, per necessità di raffreddare l’inflazione in un’economia surriscaldata, ed una accelerazione della ripresa in America proprio in questo mese. Invece i dati americani correnti indicano non solo una ripresa che resta troppo gracile per riassorbire la disoccupazione (ferma al 9,1%) e quindi moltiplicare i consumi e la domanda di beni importati, ma perfino un rischio di recessione.
La Cina resta in forte crescita, ma se l’America non assorbe il suo export avrà problemi che si sommeranno alla politica disinflazionistica che tende a ridurre la crescita stessa. Il governo cinese sta cercando di fare più crescita interna per dipendere meno dall’export, ma ci vorranno anni, forse più di un decennio, per riuscirci, nel migliore dei casi.
Poiché la domanda globale è determinata principalmente dall’effetto combinato di queste due locomotive, è giustificato il timore di un suo prossimo indebolimento, cioè di meno traino esterno per la crescita dell’Italia (e della Germania che a sua volta assorbe molto export italiano).
Per capire quanto veramente dobbiamo temere lo scenario negativo è utile valutare cosa stia rallentando la ripresa in America, ancora centro del mercato mondiale pur meno in relazione al passato. In sostanza, la politica dell’Amministrazione Obama di stimolare la crescita con denari pubblici ricavati aumentando il deficit di bilancio, invece di ridurre le tasse, non ha funzionato ed ha creato una distorsione nel ciclo del capitale finanziario per l’eccesso di indebitamento.
Tale errore, tipico dell’ideologia statalista, ha rallentato la ripresa. Ma non credo che Obama continuerà a sbagliare in quanto è consapevole che per tentare di essere rieletto nel 2012 dovrà mostrare una politica economica capace di portare la disoccupazione almeno sotto il 7% o se no perderà i consensi degli elettori centristi che fanno la differenza. Con una complicazione. Dovrà anche varare un piano credibile di riduzione del debito pubblico. In queste condizioni non potrà far altro che tagliare la spesa e confermare la riduzione delle tasse originata dalla precedente Amministrazione Bush per ridare fiducia agli attori di mercato ed incentivarli a fare nuovi investimenti.
Per tale motivo ritengo che non vi sarà recessione e che il boom americano atteso per giugno prima o poi verrà, probabilmente alla fine dell’anno. Quindi la domanda globale terrà e noi riusciremo a sopravvivere. Ma con un problema. L’ansia di fare crescita porta l’America a svalutare il dollaro facendo salire l’euro a livelli di cambio che penalizzano le esportazioni. Pertanto la sfida alle imprese italiane internazionalizzate è doppia: riuscire ad essere competitive nonostante gli aberranti costi sistemici ed in più creare prodotti di qualità tale da essere meno sensibili al cambio.
Le nostre medie imprese internazionalizzate sono capaci, ma dovrebbero ricevere un aiuto almeno sul piano della riduzione dei costi. Se il nostro export si riduce, e non sta andando benissimo, poi non ci resterà altro motore di crescita. Il rigore è necessario, ma detassare le imprese è vitale.
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