Il Governo dei tecnici sta entrando in uno dei momenti più delicati della fase “cresci-Italia”: quello della riforma del mercato del lavoro. L’incontro tra le parti sociali, cioè sindacati e Confindustria, a quanto si dice, non ha prodotto buoni risultati. Ora si aspetta il confronto con Elsa Fornero. Non c’è solo curiosità, ma anche grande attesa. Perché è inevitabile che proprio sul lavoro, sul rilancio dell’impresa si giochi il problema della ripresa e il futuro dell’Italia. Nicola Porro, vicedirettore de Il Giornale guarda con attenzione a quello che sta accadendo e non si fa illusioni.
A suo parere come si comporterà il Governo sulla riforma del mercato del lavoro?
Questo “governo di tecnici” si sta comportando con grande attitudine politica. E su questo punto, a mio avviso (non voglio entrare nel merito dei provvedimenti che prenderà), sta facendo bene. Credo che il ministro del Welfare e il presidente del Consiglio abbiano un’idea in mente e la attueranno senza ricorrere alla vecchia concertazione. Su questo fa bene il governo, perché quel sistema ha prodotto danni rilevanti. Indubbiamente ascolterà, poi agirà di conseguenza, senza grandi scossoni.
Non le sembra che la questione dell’articolo 18 stia diventando una sorta di “tormentone” che blocca i veri problemi che legano ancora il mercato del lavoro?
Credo che questa valutazione sia giusta.
Il problema vero è probabilmente l’articolo 8 dell’accordo di giugno, quello che puntava sul contratto aziendale e mandava “in pensione” i contratti unitari nazionali.
Certo, questo era il vero “grimaldello” nella questione del mercato del lavoro. L’articolo 8 dell’accordo di giugno vale dieci volte l’articolo 18, che sta diventando veramente un “tormentone”, a cui gli stessi industriali ricorrono poco. La nuova base sarebbe stato il traguardo di moderni contratti aziendali, che sono più rispondenti alla realtà della situazione e sono in grado di rilanciare la competitività delle imprese. Ma questo articolo 8 sembra da un lato dimenticato, dall’altro pare che sia la stessa Confindustria che lo abbia voluto dimenticare. I sindacati, si sa, fanno il loro mestiere e quindi si oppongono. Ma lì c’era la vera e autentica svolta possibile. Mi sembra che si stia perdendo un’altra occasione. Non so quello che hanno in mente Mario Monti ed Elsa Fornero al proposito. Ma non credo che si arriverà a forzare la mano.
Scusi, Porro, passiamo a un altro problema. Di fatto, per questioni di credibilità o meno, il “benedetto” o “maledetto” spread sta discendendo. È ancora a livelli alti, ma sta scendendo. Di conseguenza è in calo anche il rendimento dei titoli di Stato. A questo punto, questo “sollievo” che viene dal calo dello spread non può essere investito nella crescita?
Sono scettico a questo proposito. Io credo che il Governo questo tipo di scelta non la farà ancora. Basta pensare a come si è costituita la crisi del Governo Berlusconi. Si è fatto pensare che era il Premier la causa della crisi europea e non si è detto che era quest’ultima la causa anche della crisi italiana. Lo spread era sul conto di Berlusconi, non di quello che stava accadendo nel mondo e l’Europa subiva. In più si può vedere quello che è emerso dall’ultimo vertice europeo con una politica di rigore e austerità che di certo non ci porta verso la crescita. Lì bisognava dire che il governo italiano non può più chiedere tasse agli italiani dopo la manovra che è stata fatta. Non credo che sia stato detto a chiare lettere. E a questo punto, come si fa a pensare a una fase due, a una fase di crescita del Paese?
(Gianluigi Da Rold)