FINANZA/ Gentili: l’ultima chance di Monti? Affidarsi a Tremonti e al petrolio

- int. Guido Gentili

Mentre l’Italia è in recessione, la situazione politica europea è dominata dall’incertezza, e i costi del petrolio rischiano di deflagrare. Come se ne esce? L'opinione di GUIDO GENTILI

mario_monti_perplesso_R400 Foto Infophoto

Lo spread scende ancora e ormai vede i trecento punti, scavalla addirittura quello spagnolo, come da tempo ci si aspettava e come i fondamentali della nostra economia richiedevano. Accanto a questi aspetti positivi, occorre però aggiungere gli altri dati che comunica ufficialmente l’Istat. Siamo in recessione perché, per due trimestri di fila, siamo andati algebricamente in negativo. E’ la quarta volta che ci capita nel giro di dieci anni. Alla fine la crescita di questo 2011 si attesta sullo 0,4 per cento, inferiore alla previsione del +0,6. Il rapporto tra deficit e Pil è sceso sotto il 4 per cento, ma è solamente al 3,9. Il rapporto infine tra lo stock del debito pubblico e il Pil, sfonda seppure di un decimale una soglia storica, il 120 per cento. Che cosa significa tutto questo? Guido Gentili, editorialista de Il Sole 24 Ore, acuto osservatore di macroeconomia e di problemi finanziari, ieri ha scritto un articolo dal titolo indicativo “Senza credito non c’è ripresa”. Nel suo pezzo affronta realisticamente la situazione economica e punzecchia i vari “conservatorismi” italiani. Senza abbandonarsi a critiche senza senso, Gentili indica la strada per uscire da una crisi da cui, è bene ricordarsi, non siamo ancora usciti.

Come definirebbe, complessivamente, la situazione che stiamo vivendo?

Alcune cose sono state fatte e avviate, ma non sono in grado di risolvere in tempi brevi il problema vero del nostro Paese, quello della crescita. Qui si gioca il nostro futuro, perché è da 17 anni, dal 1995, che abbiamo il motore imballato. Noi abbiamo fatto peggio della media dei Paesi europei. E poiché abbiamo davanti un anno di recessione, stimata tra l’1 e il 2 per cento, possiamo solamente dire che siamo in una situazione che è ancora molto complicata.

Ci siamo impegnati a pareggiare il bilancio entro il 2013. A suo parere ce la faremo, oppure si dovrà ricorrere a nuove manovre, magari da quest’anno stesso?

Il governo di Mario Monti pensa di farcela, anche senza ricorrere a una nuova manovra per quest’anno. Credo che ritenga di recuperare ancora molto dalla lotta all’evasione. Ma, certamente siamo sul filo del rasoio, perché non sappiamo esattamente che tipo di recessione ci aspetterà quest’anno o quali saranno i numeri del 2012. C’è una stima che ci condanna a un -1,6 per cento di Pil, e quella del Fondo monetario internazionale, che ci indica sotto del 2,2. Quindi il futuro è carico di incognite. In tutti i casi non si potrà agire sull’Irpef. Bisognerà spostare la pressione fiscale dalle persone alle cose, dalle tasse dirette a quelle indirette, cosa che diceva anche Tremonti. Però finora nessuno lo ha fatto.

Tuttavia, ci sono anche alcuni fattori positivi che emergono: la credibilità internazionale del Governo, la sottolineatura della necessità di misure per la crescita sottoscritta da dodici Paesi dell’Unione Europea e con l’appoggio degli Stati Uniti, infine il raffreddamento dello spread.

Tutto vero. Il governo si muove sul terreno internazionale con più credibilità e con una buona certificazione mediatica internazionale. Con la caduta dello spread, i nostri titoli sono tornati a un rendimento del 4 per cento. Sembra che ci sia solo un piccolo surriscaldamento dell’inflazione. Devo dire che al raffreddamento dello spread ha contribuito anche Mario Draghi, presidente della Bce, con due manovre di liquidità di 500 miliardi di euro l’una, in tutto mille miliardi, che hanno almeno garantito il necessario. Ma la seconda tranche è l’ultima manovra di questo tipo che può fare, perché, con molto coraggio e realismo, ha aggirato le norme. Adesso però è già intervenuta Angela Merkel, con un monito secco: ora basta.

E a questo punto che cosa si può fare rispetto al problema del credito e allo spettro che si aggira per l’Europa di un possibile credit crunch?

La prima tranche di 500 miliardi è servita alle banche per rifinanziarsi. Le nostre banche ad esempio hanno potuto investire in titoli di Stato che gli renderanno il 4 per cento. Un buon affare. In questo modo, si sono sostituite agli investitori stranieri, ai grandi Fondi che avevano cominciato a vendere, sin dal giugno scorso i nostri titoli. Il problema è che, adesso, la seconda tranche degli altri 500 miliardi deve servire a garantire il credito alle imprese e alle famiglie. Per questo, è necessaria una cultura nuova, innovativa.

Vale a dire?

Bisogna pure che si innovino anche le banche, che favoriscano gli investimenti di progetti industriali, che non richiedano solo garanzie, ma che sappiano leggere i veri progetti di sviluppo. In più occorre, in aiuto alle nostre imprese, che passi la disposizione per cui si fissino in termini chiari il pagamento dei debiti che lo Stato ha verso le imprese. Oppure che si trovi una soluzione tramite le banche. Non si può fallire “strangolati” dai crediti che si vantano nei confronti dello Stato.

Mettiamo in scala le criticità che abbiamo di fronte.

La prima è il problema di mettere il Paese, ma anche tutta l’Europa in condizione di crescere. Poi c’è il problema del crediti crunch da evitare. Infine ne sta nascendo un altro. Qui sembra che nessuno si sia accorto che il barile di petrolio è risalito a 125/130 dollari. C’è una situazione iraniana da monitorare, che appare comunque esplosiva per il Medio Oriente e anche per l’Europa. Se il barile ritornasse al livello dei 150 dollari, subiremmo, soprattutto noi italiani, una stangata micidiale.

Poi ci sono i problemi politici, quelli europei soprattutto. Lasciamo perdere quelli italiani, perché questi partiti non sembrano in grado neppure di scalfire l’azione di Monti.

Sono d’accordo. Ci sono una serie di scadenze europee che possono scompaginare tutto quanto, portare a rinegoziazioni complessive. E’ stato siglato il “Fiscal compact”, ma l’Irlanda ha già indetto un referendum e forse altri la seguiranno. Ricordiamo per un attimo Lisbona. C’è ancora aperto il problema greco, quello portoghese da affrontare. mentre la Spagna non va affatto bene. Poi ci sono le elezioni francesi tra poco più di un mese. Se Nicolas Sarkozy le perde e vince Francois Hollande, si rimette in discussione veramente la governance europea, basata sul rigore dell’asse franco-tedesco. Infine ci sono le elezioni americane di novembre, con Barack Obama che fa il tifo per chi vuole puntare sulla crescita, anche in Europa. Insomma un puzzle con incastri complicati. Questo è il futuro che ci attende.

 

(Gianluigi Da Rold)





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