Ma cosa succede sui mercati? Un giorno crollano, l’altro festeggiano. Se siete miei lettori, non dovreste essere stupiti di questa ennesima ondata di turbolenza, ne parliamo infatti da almeno un mese e mezzo. Ora però c’è un altro segnalatore che comincia a lampeggiare ed è di quelli da brividi: lo swap a tre mesi euro-dollaro, ovvero il metodo con cui ci si finanzia in biglietti verdi quando nessun’altro sembra intenzionato ad aiutarti, negli ultimi cinque giorni è deteriorato ai livelli di metà dicembre. Cosa significa? Che il rischio di insolvenza è tornato a braccetto con quello di illiquidità, mandando sott’acqua tutti i titoli del settore bancario.
Ora, scendiamo un attimo nello specifico e torniamo a parlare di Italia e Spagna. Ieri mattina il Tesoro ha collocato 11 miliardi di euro in titoli a 3 e 12 mesi, ma la notizia è tutt’altro che positiva: certo, l’asta è andata bene come bid-to-cover, ma il rendimento pagato per collocare 3 miliardi di titoli trimestrali, all’1,492%, è quasi triplicato rispetto allo 0,492% di marzo, arrivando a toccare i massimi da dicembre. Mentre per il Bot a 12 mesi il rendimento è stato del 2,84%, raddoppiato rispetto all’1,405% dell’ultima asta di marzo.
Insomma, l’effetto Ltro è già svanito del tutto: se infatti per piazzare debito ben al di sotto dell’arco temporale del prestito della Bce occorre veder raddoppiati e triplicati i rendimenti da un mese con l’altro, da festeggiare c’è ben poco. Il banco di prova sarà poi stamattina, quando il Tesoro collocherà Btp poliennali a varie scadenze per un massimo di 5 miliardi di euro. Direte voi: ma se il risultato dell’asta è stato così preoccupante, perché lo spread è sceso di colpo di oltre 30 punti base dal massimo di 404 di martedì? Semplice. Perché sempre ieri il governo tedesco ha collocato 3,87 miliardi di euro di titoli del debito pubblico con scadenza a 10 anni, il 23% in meno dell’ammontare massimo offerto che infatti era di 5 miliardi. Di più, 1,13 miliardi di titoli sono stati acquistati dalla Bundesbank, quindi senza il sostegno pubblico il debito collocato da Berlino sarebbe stato pari a 2,74 miliardi di euro, poco più della metà di quanto messo all’asta! I titoli hanno registrato un rendimento dell’1,77%, un record al ribasso ma subito dopo l’asta il rendimento benchmark tedesco già quotava 1,793%.
Insomma, ieri la Germania ha dovuto subire l’onta di un’asta tecnicamente non coperta: e se gli analisti parlavano di scarsa attrattività del Bund legata al rendimento ultra-basso, occorre sottolineare come pochi minuti dopo l’asta siano stati scaricati 25mila contratti futures sul Bund, atto che ha permesso allo spread italiano di respirare. E se nel primo pomeriggio di ieri l’Agenzia del debito tedesca si è sentita in dovere di emettere un comunicato in cui sottolineava come «l’asta sul Bund decennale tedesco rappresenta un buon risultato nel contesto di un’incertezza leggermente aumentata nei mercati», vuol dire che a Berlino la preoccupazione comincia a serpeggiare davvero.
Ma veniamo ora alla Spagna. «Le banche spagnole potrebbero aver bisogno di altro capitale, se l’economia continuerà a contrarsi. Inoltre, una ripresa dell’economia è improbabile nel breve termine». Parole del governatore della Banca di Spagna, Miguel Angel Fernandez Ordonez, a detta del quale però «il consiglio direttivo della Banca centrale europea non ha mai discusso di un eventuale salvataggio per la Spagna». Ma c’è di più. Sempre il governatore della Banca centrale iberica ha puntato poi il dito contro l’Italia colpevole, secondo lui, di aver riportato l’incertezza sui mercati dopo il “dietrofront” sulla riforma del lavoro: «In Italia, purtroppo, la retromarcia sulla riforma del lavoro sta creando enorme ansia», spiegando come invece la Spagna si stia impegnando produttivamente sul fronte della riduzione del deficit.
Ora, al netto del fatto che non sprecherei nemmeno una sillaba in difesa dell’attuale governo italiano e delle sue fallimentari ricette economiche, gli spagnoli possono parlare solo di calcio e paella, su economia e finanza pubblica è meglio che si mettano un bel cerotto sulla bocca. E non lo dice il sottoscritto – che all’argomento ha dedicato almeno dieci articoli negli ultimi due mesi – ma la Commissione Ue, la quale ha sì accolto con favore le nuove misure economiche annunciate dal governo spagnolo, ma, poi, ha fatto sommessamente notare che per poter procedere a un esame più completo della situazione dei conti pubblici di Madrid mancano ancora i bilanci delle regioni. E quanto pesi e quanto sia deteriorato il debito regionale spagnolo negli ultimi anni ve l’ho dimostrato la scorsa settimana. Ma siccome ci sono nuovi dati, ribadiamo il concetto. Il Pil spagnolo nel 2012 è proiettato verso 1,4 triliardi di dollari, un buco del 5,3% rispetto al target dell’Ue, che in aggregato è di 74,2 miliardi di dollari. Ci sono poi i 13 miliardi di dollari di tagli nel comparto Educazione e Pensioni e qui ecco il nodo, lo stesso che preoccupa la Commissione Ue.
La promessa spagnola di ridurre del 3,2% il deficit delle regioni, si è concretizzata nel 2011 in un misero 0,8%: il problema è che il 60% dei budget regionali fa capo alle voci proprio Pensioni ed Educazione, quindi le autonomie iberiche dovranno tagliare approssimativamente del 10% il loro budget per rientrare nei 13 miliardi di tagli a livello nazionale: pressoché impossibile. Tanto più che il debito regionale pesa per un terzo sulla ratio debito nazionale/Pil e ogni autonomia, di fatto, sta campando in deficit: si passa dal -1% di Madrid al -7% e oltre di Castilla-La Mancia.
E quale ricetta vorrebbero in Spagna? Martedì mattina, nel corso di una conferenza, il ceo di banca Santander ha chiesto a chiare lettere alla Bce che dia vita a un largo programma di Quantitive Easing per comprare debito, sia pubblico che privato. Insomma, risolvere il problema del debito con altro debito. Ma si sa, le banche spagnole ormai sono alla canna del gas: sono esposte per 400 miliardi al moribondo settore immobiliare e almeno 110 di quei miliardi sono già considerati “tossici”, ossia persi. A fronte di riserve per 50 miliardi, chi metterà gli altri 60 per evitare il collasso del sistema? La Bce con un terzo Ltro? E con quale collaterale, visto che le banche iberiche hanno comprato debito sovrano spagnolo per 56 miliardi di euro, facendo il pieno di obbligazioni acquistate con i soldi all’1% di Francoforte che ora, giorno dopo giorno, perdono sempre maggiormente di valore e gravano sui bilanci.
I quali, stante la volontà del governo Rajoy, dovranno essere strizzati e tirati a lucido, visto che Madrid ha imposto agli istituti di racimolare capitale addizionale per 65 miliardi di dollari nel 2012: e dove prenderli, se non alla Bce visto che l’unico collaterale che hanno in mano sono Bonos in caduta libera o prestiti inesigibili? Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che le posizioni short su titoli di Banco Santander hanno raggiunto l’11,21% del totale di azioni trattate e che i fondi, la scorsa settimana, hanno aumentato le loro scommesse al ribasso di altri 237 milioni di euro. Per il professor Fernandez-Villarde della Pennsylvania University, «la via dell’austerity imposta dai tedeschi è un’assoluta pazzia. Rajoy avrebbe dovuto evitare da subito di seguire l’esempio italiano, ovvero fare promesse che non ha intenzione di mantenere e fare come David Cameron, ovvero dire all’Europa dove deve andare». Della traiettoria greca di Madrid sono certi anche alla Carmel Asset Management, il cui ultimo report parla molto chiaro.
Primo, il debito pubblico reale della Spagna è più grande del 50% rispetto ai numeri ufficiali, passando almeno dal 60% a oltre il 90%, calcolando anche quello regionale. Secondo, il prezzo degli immobili scenderà di un ulteriore 35% e non del 15% stimato, dato che non solo peserà sui bilanci bancari, ma che significherà due punti in meno di Pil per i prossimi due anni. Terzo, una volta che le banche spagnole smetteranno di truccare i dati dell’esposizione al real estate (2,8% ufficiale contro l’11% stimato dalla Carmel nel suo studio), il loro stato di sottocapitalizzazione diverrà una headline globale sui mercati. Quarto, nonostante le molte parole, l’Europa non ha un firewall abbastanza grande per salvare la Spagna, visto che le necessità di rifinanziamento di Madrid solo nel 2012 sono pari a 186,1 miliardi di euro.
Capite ora perché gli spread schizzano alle stelle (salvo capitomboli del Bund come quello di ieri) e, nonostante i tentativi dell’Isda di distruggere il mercato dei cds, i credit default swaps spagnoli sono tra i prodotti più appetiti sul mercato in questi giorni? Attenzione, però. Che la Spagna sia il detonatore potenziale del nuovo contagio è innegabile, ma occorre evitare di cadere, come ha fatto Mario Monti l’altra notte dal Cairo, nella trappola dei mercati che puntano a una guerra fratricida tra poveri. Lo ha fatto notare, in un intervento davanti al gruppo del Partido Popular, proprio il premier spagnolo, Mariano Rajoy: «Ci sono state dichiarazioni di alcuni dirigenti europei, di nuovo questa notte, con un tono preoccupato. Abbiamo tutti problemi, noi lavoriamo per risolvere i nostri e aiutare la zona euro, ci aspettiamo che gli altri facciano la stessa cosa, che siano prudenti nelle loro affermazioni».
La Spagna è solo l’esca, la preda è l’Italia. E puntare il dito contro Madrid come unica contromossa, come hanno fatto Monti e Passera, significa far finire dritti dritti i titoli delle principali banche e aziende italiane ai primi posti sui terminali di Sigma X. Come accaduto lo scorso luglio, quando proprio Italia e Spagna ballarono insieme per settimane il valzer del default. Il governo batta un colpo, ora. Oppure batta in ritirata.